Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season

3.12. Qualcuno ha cambiato il finale (Un terribile viaggio di ritorno)

Antonia Del Monaco Season 3 Episode 10

Questo è l'ultimo capitolo del diario di Emmanuel, dopodiché il protagonista verrà visto solo di scorcio, attraverso gli occhi degli altri personaggi. 
Emmanuel, sconvolto dal rifiuto e dalla fuga di Antonia, si rimette alla guida per tornare a Torino; ma il suo viaggio sarà costellato di incidenti di percorso strani e surreali, quasi ad impedirgli il ritorno. 
Quando finalmente, sfinito e stravolto, riesce a tornare a casa, ha una sorpresa che lo lascia completamente tramortito. 
Gli interpreti sono Paolo Malgioglio e Elisa Gandolfi. 
La colonna sonora comprende cover e versioni strumentali di  "Stan" (Eminem) e "Brother James" (Sonic Youth). 
... 
This is the last chapter of Emmanuel's diary, after which the protagonist will be seen only in glimpses, through the eyes of the other characters. 
Emmanuel, shocked by Antonia's refusal and escape, starts driving again to return to Turin; but his journey will be peppered with strange and surreal accidents, almost as if they will prevent him from returning.
When finally, exhausted and distraught, he manages to return home, he has a surprise that leaves him completely stunned.
The interpreters are Paolo Malgioglio and Elisa Gandolfi.
The soundtrack includes covers and instrumental versions of "Stan" (Eminem) and "Brother James" (Sonic Youth).

Quando mi risveglio, dopo un sonno confuso, sono le tre del pomeriggio e non soffro più. Sono animato da una determinazione lucida e inesorabile: andrò immediatamente a riprendermela; la tratterò come desidera, come merita. Me la farò sul pavimento di casa senza nemmeno aspettare di arrivare in camera, e tanto meglio se ci vedranno: sarà la fine di una farsa indecente.

Una fretta ansiosa incomincia a divorarmi: ho già perso troppo tempo. Odio tutto della Toscana, non intendo rimanerci un solo secondo di più. Sono in preda ad un’incontrollabile eccitazione nervosa, prossimo all'isteria: le mie mani tremano mentre mi vesto, serro le mascelle per non battere i denti, non riesco a coordinare i miei gesti.

Ingoio un paio di sedativi e mi sforzo di compiere tutto il viaggio di ritorno in uno stato di completa narcosi. Ci riesco fin troppo bene, tanto che rischio due volte di schiantarmi contro il guard-rail; non ho neppure la lucidità sufficiente per raggiungere una piazzuola di sosta: devo fermarmi sotto un viadotto, nella corsia di emergenza. Reclino il sedile e mi distendo; rimpiango la compagnia di Tegame: se fosse qui con me non mi sentirei così solo, mi addormenterei con la faccia immersa nel suo rassicurante odore di pane ammuffito.

Piombo in un dormiveglia affannoso e faccio un sogno.

Colonna sonora: Brother James dei Sonic Youth. 

Sono arrivato a casa. Cerco di attraversare di corsa il giardino, ma le mie gambe sono molli e lente e i miei piedi sprofondano nella ghiaia del viale, si incollano sull'asfalto del marciapiede. Finalmente riesco ad entrare in casa e mi dirigo a colpo sicuro in salotto. La vedo di spalle, seduta sul divano. Si volta: indossa un abito candido, un velo le copre il viso. Non parla, non dico niente. Mi avvicino, la afferro per i capelli e comincio a trascinarla come un sacco attraverso i campi fino ad uno scantinato semidistrutto. La prendo fra le braccia, attra-verso la soglia, la lascio cadere per terra e la faccio rotolare con un calcio giù dalle scale; si ferma contro un muro di mattoni in un angolo buio. La raggiungo, afferro la sua testa velata e incomincio a sbatterla contro un arco a sesto acuto, più e più volte, ma una strana forza trattiene i miei gesti e li rende inefficaci. Lei ride sommessamente e si lascia sbattacchiare qua e là come un pupazzo. Non riesco a sollevare il velo, intravedo a malapena le occhiaie nere e la bocca aperta in un ghigno assurdo. Finalmente le spacco il cranio: vedo il sangue schizzare sul candore dell'abito. Lacero il velo, cerco di aprirle la testa con le mani, immergo le dita nel suo cervello. Inarca la schiena con un lungo gemito, sviene. Afferro i suoi polsi e li infilo negli anelli di ferro che sporgono dal muro, le strappo il vestito bianco e cerco di violentarla, ma i fotogrammi sono bloccati, la scena si svolge come al rallentatore. La fatica è enorme, vorrei gridare ma sono completamente afono; la disperazione si fa sempre più acuta, diventa insopportabile, si dissolve in intenso piacere. Decollo, il battito delle mie ali diviene fitto e frequente, non avverto più alcuna fatica. Rimango in quota scivolando sulle correnti, lei pulsa all'unisono con me, il ritmo delle contrazioni è leggero e regolare: le dico di non preoccuparsi, continuerò così fino ad ucciderla, fino a morire, senza smettere mai. Provo una meravigliosa sensazione di benessere: mi levo sempre più in alto mentre il sole emette una luce intermittente, un sibilo acuto come di sirena. Sento picchiettare la pioggia; cerco di non farci caso, ma il ticchettio si fa più insistente. Non è pioggia, è grandine. La finestra dello scantinato è proprio sopra di lei, il vetro è rotto: la grandine potrebbe farle del male, devo proteggerla. Con uno sforzo immenso alzo un braccio per chiudere le imposte. Apro gli occhi: un poliziotto sta bussando al finestrino della mia automobile.

Mi alzo a sedere completamente frastornato. Abbasso il finestrino.

- Non può sostare in corsia di emergenza. Si tolga immediatamente o le faccio il verbale.

Mi scuso.

- È sicuro di star bene?

- Sì, grazie, ho soltanto sonno. Non ho dormito stanotte. Può dirmi che ore sono?

- Le sette e mezzo.

Ne deduco che ho dormito tre ore. Il poliziotto continua:

- Raggiunga al più presto una stazione di servizio. La prossima è a cinque chilometri.

Ringrazio, rimetto in moto e riparto.

Mi sento rintronato, i sedativi mi hanno messo in corpo una sete insopportabile: mi fermo a un’area di servizio dalle parti di Bologna, bevo un caffè e trangugio un litro d’acqua. Vado in bagno. All’uscita il sole basso sull'orizzonte mi dà una fitta tremenda agli occhi: mentre inforco gli occhiali scuri mi si avvicina una zingara; prima che io possa reagire mi afferra una mano e comincia a leggerla, sfiorando il mio palmo con le dita sudicie. Mio fratello non ha mai potuto soffrire gli zingari; io invece, chissà perché, mi sento confortato da quel contatto.

- Tu male - dice - Tu desperado. Io togliere male, vuoi?

Le sorrido sfinito:

- Perché no?

- Prende questo - mi dice, consegnandomi un piccolo gomitolo di filo aggrovigliato. Chiude le mie dita a pugno nelle sue e comincia a pronunciare incantesimi incomprensibili in chissà quale oscuro miscuglio di linguaggi, accarezzando l’aria con movimenti circolari della mano sopra la mia. Apre il mio palmo con una piccola esclamazione di sorpresa: il groviglio si è completamente sciolto, il filo scorre docile tirato dalle sue dita.

Apprezzo il gioco di prestigio e lo ricompenso generosamente. Mi dirigo alla macchina e riparto. È solo al casello autostradale che mi rendo conto, aprendo il portafogli e trovandolo completamente vuoto, che la scaltra prestigiatrice è capace di trucchi ben più abili.

Sono costretto a compilare un lungo verbale, non c’è verso di far capire al casellante che la vittima sono io. Un perverso senso dell'umorismo mi assale mentre firmo quelle stupide carte: tutto gira esattamente al contrario di come avevo previsto; scoppio a ridere in faccia al casellante, un irritante idiota, come tutti i burocrati.

Ho perso molto tempo prezioso, ormai sono le dieci di sera. I miei nervi sono a pezzi, sono stanco morto: mi rendo conto che in queste condizioni non arriverò vivo a destinazione. Perciò mi rassegno a dormire qualche ora in un'area di servizio. Dormo profondamente per alcune ore: il mio corpo ne aveva bisogno. Quando mi risveglio è ormai l'una di notte: mi tiro su e mi rimetto subito al volante.

Sono le tre e mezzo del mattino quando mi trovo lungo la strada che da Chieri conduce a Torino, ormai a pochi chilometri dalla mia destinazione. All'improvviso vedo davanti a me il bagliore degli occhi di una piccola volpe sul ciglio della strada: immediatamente mi fermo per lasciarla passare. La piccola volpe però rinuncia ad attraversare e si volta verso il ciglio erboso della strada, intenzionata a tornare sui suoi passi. Ingrano la prima per ripartire, ma appena faccio pochi metri la volpe cambia idea, si volta e si butta sotto le ruote della mia automobile, senza che io abbia in alcun modo la possibilità di evitarla. Freno disperatamente, ma ormai è troppo tardi. 

Mi fermo desolato e appoggio la fronte sul volante, non riuscendo a credere all'accaduto. In quel momento sento di nuovo picchiettare al mio finestrino, questa volta in modo lieve e garbato. Alzo la testa e, con enorme stupore, vedo una signora di mezza età, non molto alta e abbastanza robusta, con i capelli corti tinti di biondo, che mi sorride e mi fa segno di abbassare il finestrino. Stordito, guardo nel retrovisore e vedo i fari della sua macchina che si era fermata dietro la mia. Sono sicuro che in precedenza dietro di me non ci fosse nessuno, la strada era deserta.

Frastornato e anche un po’ allarmato, le chiedo che cosa desideri, pensando che abbia avuto un guasto alla macchina e abbia bisogno del mio aiuto. Invece, con tono garbato e sommesso, la signora mi chiede:

- Mi scusi se glielo domando: è la prima volta che le succede una cosa del genere?

- La prima volta in che senso? - le chiedo interdetto - Vuole sapere se è la prima volta che metto sotto una volpe? Se è questo che vuole sapere, la risposta è sì.

Sorride.

- No, non esattamente, non era questo il senso della mia domanda, ma non importa. Sappia che io ero dietro di lei e ho visto perfettamente la dinamica dell'incidente: non è lei che ha preso sotto la volpe, è la volpe che si è buttata sotto la sua automobile. E questo cambia completamente le cose.

- In che senso? - le chiedo di nuovo.

Lei mi dice con estrema gentilezza:

- Senta, conosco un bar qui nei paraggi che resta aperto tutta la notte per i camionisti. Se mi permette  le offro un caffè, in modo che lei possa riprendersi dallo shock. Non credo che sia in grado di riprendere il viaggio in queste condizioni.

Annuisco: ha ragione. Le chiedo però di darmi il tempo di spostare il corpo di quella povera bestiolina sul ciglio della strada, in modo che non venga investita da altri automobilisti. Mi dice di sì e mi aiuta a spostare sull'erba il piccolo cadavere ancora caldo, dalla bocca del quale esce un rigagnolo di sangue. Sono sconvolto e incredulo.

La signora risale in macchina e mi fa strada fino ad un paesino poco distante, in cui brilla l'insegna luminosa di un bar aperto.

Entriamo, ci sediamo al bancone e il gestore, gentilissimo, ci mette davanti due caffè e due brioches appena sfornate. Mentre mangio la mia brioche, la signora mi fa un discorso che non dimenticherò mai.

- La prego di ascoltarmi con la massima attenzione. Non mi chieda chi sono e cosa ci faccio a quest'ora per la strada: posso solo dirle che sono esperta di fenomeni del genere e arrivo appunto da una riunione in cui ne abbiamo parlato, ma questo non ha alcuna importanza. Sappia soltanto che lei è in pericolo: il comportamento di quell'animale, potremmo dire il suo autosacrificio, è un tentativo di fermarla. Perciò la prego, dovunque lei sia diretto, non ci vada.

Il boccone che sto inghiottendo mi rimane bloccato in gola.

- Scusi, - le chiedo - come fa a sapere tutto questo?

La signora sorride di nuovo. La guardo attentamente: ha l'aria rassicurante di una casalinga comune, non certo di una strega o di una fattucchiera, assomiglia un po’ alla madrina di Cenerentola nel film di Walt Disney.

- Gliel'ho detto, non ha alcuna importanza chi sono e come faccio a saperlo. In questo momento l'unica cosa importante è lei: le ripeto che è in pericolo e non deve andare dove stava andando. 

- Stavo andando a casa - le rispondo semplicemente.

Annuisce e mi dice:

- Dovunque stia andando, incontrerà qualcosa o qualcuno che la metterà in pericolo. La prego, mi creda. Un'altra cosa le devo dire: lei non deve mai, per nessuna ragione, immischiarsi nei fatti dell'occulto. Sarebbe pericolosissimo per lei. Me lo prometta.

Glielo prometto meccanicamente.

Mi dà un affettuoso buffetto sulla guancia, si alza, va a pagare il conto per tutti e due prima che io riesca a fermarla, mi saluta sorridendo ed esce dal bar. 

Termino in un boccone la mia brioche ed esco a mia volta, cercandola per pagarle la mia parte del conto, ma la signora è letteralmente sparita. Non si vede traccia di lei né della sua auto.

Mi sento come in un sogno: mi volto per essere sicuro che non sia sparito anche il bar come la carrozza di Cenerentola, pronto a vedere al suo posto una zucca, ma il bar è ancora lì e l'insegna luminosa è sempre accesa.

Risalgo in macchina e rimetto in moto, profondamente turbato da quella serie di avvenimenti. Mi fermo ancora a fare rifornimento e a dormire un po’ in un’area di servizio, in modo da non arrivare a destinazione troppo presto: non saprei come spiegare ai miei un rientro all’alba. Attendo che arrivino le nove e riparto.

 

Finalmente eccomi a casa. Attraverso il giardino con le gambe molli, esattamente come nel mio sogno. Entro in salotto, ma invece di Antonia, seduto sul divano, c'è mio fratello che sta parlando con mio padre e mia madre. Strano: dovrebbe essere in viaggio per lavoro (di qui la scelta di questo periodo per la mia vacanza con lei). Mi faccio forza e mi preparo a sostenere l'ennesima recita ad uso e consumo dei miei. 

Mi tolgo gli inutili occhiali da sole e li saluto con un sorriso di circostanza.

- Che bella abbronzatura - esclama Michele - A quanto pare non avete solo studiato, tu e il tuo compagno. Com’è andata in campagna?

- Niente di che.

- Noi invece abbiamo notizie importanti - dice mio padre, ma poi non parla. Noto che mia madre lancia occhiate furibonde a Teresa, che si affaccenda in attività superflue.

- Grazie, Teresa, - dice secca - non è il momento di spolverare la credenza. Può andare.

Teresa esce.

- Ah sì? - rispondo.

- Indovina - mi dice mio fratello sorridendo. Sono troppo stanco per giocare a nascondino con lui, stento a mascherare l'irritazione.

- Cosa dovrei indovinare?

È mio padre a darmi il grande annuncio:

- Michele e Antonia si sposano fra quindici giorni.

Michele allarga le braccia.

- Non so che dire, fratellino. Ieri sera mi ha telefonato: piangeva come una bambina, mi ha pregato di tornare subito e di combinare il matrimonio il più in fretta possibile; vuole sposarsi il giorno del suo compleanno, dice che ha paura, non ho capito di cosa. Non era mai stata così superstiziosa.

Mia madre non sembra affatto convinta di quella decisione improvvisa.

- Sei sicuro di quello che fai, Michele?

- Sì mamma, sono sicuro. È un momento delicato per Antonia, ma passerà.

Anche mio padre appare perplesso:

- Tua madre ha ragione, Michele. Pensaci su, prenditi un po' di tempo: Antonia ultimamente non sta bene.

- Papà, sono preoccupato anch'io, ma è lo shock dell’operazione: si riprenderà. 

- I medici hanno detto che forse non potrà più avere figli.

- Lo so, ma è un rischio che devo correre. Se avessi voluto a tutti i costi dei figli, probabilmente l'avrei lasciata per una donna più giovane: ma ho scelto lei e non cambio idea. D'altronde il matrimonio era già in programma, lo sapete benissimo: si tratta solo di anticiparlo di qualche mese.

- È una decisione avventata, Michele: pensaci bene.

- Per favore - insiste mia madre.

Mio fratello, irritato, taglia corto:

- Papà, mamma, il fatto che mi consideriate un figlio modello non significa che io sia di vostra proprietà: questa è la mia vita e non accetto interferenze. È tutto, buona serata.

Nonostante il dolore che mi devasta, sono costretto ad ammirare la coerenza di mio fratello.

Michele si alza per andarsene e abbandonare quella sgradevole conversazione; mentre sta uscendo vede la mia espressione, mi si avvicina e mi afferra le spalle con gesto amichevole.

- Ehi fratellino, su col morale: non vado mica al patibolo.

- Congratulazioni! - esclamo, e indietreggio col sorriso di un folle.

Vado a sbattere contro Teresa, la guardo, ha le lacrime agli occhi.

Smarrito, controllo il copione: qualcuno ha cambiato il finale. Il mio personaggio non c’è più: sono stato cancellato con un tratto di penna. 

Non riesco in nessun modo ad incassare il colpo. Non tento neppure di controllare l'andatura, non me ne frega niente di quello che penseranno di me: corro fuori a gambe levate, fuggo dalla stanza, dalla casa, dal giardino, dalla strada, dai campi, dal mondo. Ho un bisogno immediato di farmi del male. Mi rifugio nel fienile, mi spoglio e mi getto a braccia aperte nella paglia, graffiandomi a sangue tutto il corpo. Perdo la nozione del tempo. Attendo a lungo, a lungo. Ma non arriva, non sento i suoi passi sulla scala a pioli.

È già notte quando riemergo da quello stato di incoscienza. Ho fatto il pieno di endorfine in questi tre giorni: il dolore che provo ritornando in me è così forte che mi spacca quasi il cuore.