Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
E' disponibile su Amazon l'intero romanzo di Emmanuel:
Sono inoltre disponibili su Audible, sotto forma di audiolibro, la prima e la seconda parte del romanzo di Emmanuel:
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte I (Il vento dentro)
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte II (La metafora perfetta)
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Il romanzo è tratto da un diario autentico, scritto da un adolescente di cui si sono perse le tracce anni fa, che chiameremo per convenzione Emmanuel; il libro è ambientato nei primi anni '90. Emmanuel è un adolescente irrequieto, incapace di accontentarsi del molto che possiede e con una personalità borderline che lo porterà a fare esperienze intense e disordinate, alla ricerca di un "senso". In questa sua ricerca travolgerà diversi personaggi, tra cui Antonia, la fidanzata del fratello Michele.
Gli interpreti sono due bravi attori-doppiatori, Elisa Gandolfi e Paolo Malgioglio.
Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
3.4. I cancelli dell'Eden - parte I (Emmanuel e Antonia in cerca del Paradiso perduto)
Questo episodio, di particolare lunghezza e importanza, viene proposto in due parti, di cui questa è la prima.
Un Emmanuel appassionato e "a luci rosse" rievoca la sua nuova esperienza con Antonia, da lui riconquistata nell'episodio precedente ("Effetti speciali").
Il ragazzo vive questa riconquista con ebbrezza ed entusiasmo, ma ormai, a diciott'anni compiuti, è perfettamente in grado di rendersi conto delle difficoltà della situazione e di quanto le cose siano cambiate per entrambi.
Deciso comunque a proseguire per la sua strada, Emmanuel non esita a ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione per tenere legata a sé Antonia.
Gli interpreti sono Paolo Malgioglio e Elisa Gandolfi.
La colonna sonora comprende brani e cover di Syml ("Where is my love" e "Mr. Sandman") e Nirvana ("Moist Vagina").
Come mai, dottore, le esperienze più intense che abbiamo vissuto si trasformano in ricordi soffocanti, simili a certi cieli di agosto bianchi di afa?
Faccio una maledetta fatica a rievocare quel periodo. Raccontare situazioni degradanti non è poi così difficile, se si azzecca il giusto registro linguistico: sono sufficienti capacità descrittive nella media. Esprimere il sublime, invece, è quasi impossibile: se non sei un genio, scadi nel patetico. Bisogna surriscaldare il pensiero fino al calor bianco, fonderlo con l'immagine in un tilt visionario, più che parole schegge di diamante il cui significato si coglie per analogia, come in Eschilo. Io non ne sarei mai in grado, non solo per i miei limiti espressivi, ma anche per quella maledetta autoironia che dissacra tutto ciò che dico e scrivo; senza contare che uno stile del genere sarebbe in rotta di collisione con tutto il mio modo di essere: mi sentirei come se andassi in giro con un abito di seta verde pieno di lustrini e piume di struzzo, una baldracca da lupanare. Perciò, in sostanza, non so come descrivere le esperienze più esaltanti che ho vissuto.
Tu la fai semplice, dici che devo scrivere come mi viene. Evidentemente non capisci. Non posso descrivere certe situazioni con il mio stile di tutti i giorni: il risultato sarebbe tremendo; peggio ancora, sarebbe falso, perché non rispecchierebbe quello che provavo. Erano vertiginose altezze quelle in cui mi aggiravo allora: sento di dover salire più in alto per descriverle. Mi sento come se dovessi arrampicarmi sulle pareti verticali di una montagna a mani nude, e il dolore delle dita scorticate è così forte che a tratti sono costretto a mollare la presa.
Colgo l'occasione per farti notare che in questo caso sarebbe innaturale l'uso del presente al quale mi costringi, perché è tutto rigorosamente passato. Mi è sembrato bellissimo da vivere, ma non credo che vorrei tornare indietro: no, non credo proprio. Al solo pensiero provo lo stesso brivido di terrore di chi arriva di corsa sull'orlo di un precipizio e si affaccia nel vuoto.
Perciò userò il tempo che gli si addice: il passato.
Passato remoto.
...
Dopo quella volta Antonia ed io ricominciammo a vederci tutti i giorni. Non potevamo farlo a casa mia, perché alla lunga, pur con la scusa delle lezioni private, avremmo destato sospetti. Un sabato fummo così imprudenti da andarcene per un'intera giornata alla baita che i miei avevano preso in affitto a San Sicario basso, una borgata incantevole e per fortuna ancora intatta. Era il posto ideale per fare l'amore in santa pace. Verso l'una, mentre il sole splendeva nel cielo terso di un blu indaco, andammo a fare una passeggiata lungo la scorciatoia innevata che passa attraverso il bosco e poi sbuca all'improvviso su un pianoro candido, con un colpo d'occhio mozzafiato sul paesino di Champlas Seguin; camminammo per un'ora in silenzio su quella distesa immacolata tenendoci per mano, senza pensare agli effetti del riverbero dei raggi del sole sulla nostra pelle chiara. Fu una follia che rischiammo di pagare cara: fu molto difficile trovare una spiegazione per la nostra tipica abbronzatura da alta montagna. Antonia non si fece vedere a casa mia per almeno tre giorni, adducendo come scusa un tremendo mal di testa, finché non le fu possibile nascondere la scottatura sotto uno spesso strato di fondotinta. Mio fratello mi sembrò un po' stupito di vedermi così arrossato in volto. Dovetti fare appello a tutta la mia capacità di simulazione e dissimulazione: dissi che avevo fatto un salto con Gerti da un suo amico che aveva una villa a Camogli e mi lamentai del fatto che il sole bruciasse più del normale anche fuori stagione, cosa che attribuii al cambiamento climatico, mostrandomene preoccupato; riuscii a mentire con la naturalezza di un attore consumato e, non so come, la cosa passò liscia: i miei, anzi, mi lodarono per questa iniziativa, che giudicavano un sintomo di avvenuta guarigione.
Antonia ed io fummo costretti a ripiegare su una mèta più vicina e pressoché insospettabile: perciò stabilimmo di incontrarci di pomeriggio al fienile presso il fiume, non lontano dal punto in cui avevo seppellito Tegame. Era anche un modo per sentirmelo di nuovo accanto: "è un po' come riaverlo qui con noi" mi disse un giorno Antonia, ed io mi ricordai una volta di più perché lei, e solo lei, fosse la mia donna.
Avevamo fatto un po' di pulizia per evitare di ritrovarci in compagnia dei topi, cosa peraltro inevitabile: nei fienili di campagna sopravvivono ancora i ratti nostrani, quelli neri con gli occhi cerchiati di bianco, che, come ho letto da qualche parte, sono scampati ai micidiali surmulotti rifugiandosi in alto; del resto sono animali timidi e discreti: sospetto perfino che apprezzino la musica. Il rozzo pavimento di assi di legno era abbastanza buono, senza crepe pericolose, e il tetto a capriate ricoperto di coppi reggeva ancora. Avevamo portato con noi, approfittando dell'ampio bagagliaio della Uno di Antonia, coperte, cuscini, uno stereo, pile di ricambio, CD, la mia chitarra, fumetti, bicchieri, bibite, qualche confezione di metadone, barattoli di cioccolata e naturalmente anche libri di scuola, per occupare nel più costruttivo dei modi le nostre pause fra una parentesi erotica e l'altra. Avevo l’esame di maturità quell'anno ed era ormai l'inizio di aprile: lei non voleva farmi perdere tempo prezioso e come al solito mi aiutava con il greco e il latino, che studiavo di nuovo volentieri, e non solo per farle piacere. Nel giro di pochi giorni la mia situazione scolastica migliorò sensibilmente: sapevo che era solo questione di volontà e di impegno, le mie cellule grigie per fortuna era ancora prossoché intatte. Certamente non avrei fatto furore all'esame, ma sarei stato promosso.
Ognuno dei due arrivava al fienile per strade diverse e in momenti diversi, per evitare che qualche ficcanaso ci vedesse insieme e andasse a riferirlo ai miei. Io usavo il mio motorino, come ai vecchi tempi, e mentre mi dirigevo al fienile passavo sempre a salutare Tegame. La sua tomba, miracolosamente preservata dall'inondazione del '94, era ancora là, dove io stesso l'avevo scavata; sopra ci cresceva ormai l'erba, e anche qualche fiore.
Ero quasi sempre io ad arrivare per primo. Aspettare il suo arrivo era un momento magico e bellissimo: mi sdraiavo nel fieno e guardavo le nuvole che si disfacevano nel cielo, respirando l’odore dell’erba, ascoltando il fruscìo di qualche topo alle mie spalle. Navigavo senza bussola, decifravo i simboli, coglievo le analogie, era tutto assolutamente chiaro. Il senso si riassumeva in un pensiero nudo: “arriverà”. E lei arrivava infatti. Il momento più bello era quando sentivo i suoi passi sulla scala a pioli. Il mio cuore accelerava di colpo i battiti, mi sentivo invadere da un'ondata di gioia.
La baciavo subito e facevamo l'amore in quel modo casuale e raffazzonato che deriva dal semplice appetito reciproco, senza neppure spogliarci e senza dire una parola. Seguiva una fase altrettanto intensa di silenziosa castità. Il silenzio era il nostro nuovo mezzo di comunicazione: non avevamo bisogno di parole per capirci, bastava uno sguardo, a volte neanche quello.
Avevo smesso di essere geloso. Non mi curavo degli spiccioli che mi cadevano dalle tasche, lasciavo che li raccogliessero altri. Provavo un senso di assoluta appartenenza: forse non era quella la risposta, ma non sentivo più il bisogno di cercare. Ora era tutto perfetto, la castità aveva un senso profondo, il sesso aveva un senso sublime, il piacere non portava con sé nessuno strascico di rimorso.
Mi ero allontanato completamente da Gerti. A volte la sognavo, ma il sogno era sempre lo stesso. Provo a descriverlo.
Siamo a letto, lo stereo suona Perfect Day, lei è collassata, io sono sveglio e quasi lucido; al posto del soffitto c'è un cielo basso, plumbeo, dello stesso colore delle lenzuola; sento l'impulso irresistibile di andare in bagno: intorno al letto sale la marea, l'acqua è torbida, strani oggetti galleggiano in superficie; mi fa ribrezzo mettere le gambe in quella palude melmosa, ma devo farlo per forza se voglio scendere. Cammino nel fango, è buio e la riva si intravede appena. All'improvviso qualcosa di freddo mi sfiora le gambe. Mi accorgo che la sponda davanti a me vibra, si muove, luccica sotto il fioco chiarore lunare. Guardo meglio: brulica di serpenti. Mi sveglio urlando, con il cuore in gola.
Finalmente mi rendevo conto del pericolo che avevo corso ed ero determinato ad uscire una volta per tutte da quel groviglio di serpi che con demoniaca ostinazione mi tenevano avvinghiato per immolarmi al loro idolo. Per fortuna il periodo che avevo trascorso con Gerti, anche se mi era sembrato interminabile, non era stato abbastanza lungo da provocare in me una grave tossicodipendenza, di quelle che ti privano del tutto dell'intelligenza e della spiritualità: già Carlos mi aveva dato una mano a fare a meno di quella merda chimica, anche se mi aveva reso quasi alcolizzato a forza di birre "speciali". Povero Carlos, è una delle pochissime persone che rimpiango.
Recuperavo giorno per giorno le mie normali reazioni fisiche: il desiderio con cui lei mi guardava era per me l'afrodisiaco più potente. Mi sentivo di nuovo bravo, anzi, probabilmente lo ero, a giudicare dalle reazioni di Antonia. Lei ricavava una gioia immensa dai miei progressi e li assecondava con tutto l'amore di cui era capace. All'inizio, quando vedeva sul mio volto i segni di una crisi imminente, mi faceva ingoiare del metadone accarezzandomi i capelli. Presto però il bisogno di quel sostegno chimico si attenuò fino a scomparire. La strategia di Antonia era semplice ed elementare: sostituire una dipendenza con un'altra. La sua era una droga diversa e più naturale, che mi appagava completamente.
Ridurre il nostro rapporto a una dipendenza, comunque, era l'ultimo dei miei desideri: come credo di avere già detto, dottore, non sono particolarmente portato alla materialità. La mia attrazione verso il sesso è, o meglio era (perché non lo è più), dovuta al tentativo di stabilire con qualcuno una comunicazione diretta, un dialogo intimo e profondo, ma prima di farne esperienza non potevo sapere che questo tipo di comunicazione è impossibile con la maggior parte delle persone, e forse illusoria con chiunque. Diciamo che l'illusione, le rarissime volte in cui è dato provarla, funziona: lascia pienamente appagati, almeno fino a quando uno non è costretto a rendersi conto che, in realtà, ha sempre dialogato con se stesso.
Comunque sia, con Antonia non intendevo affatto comunicare solo in quel modo. Spesso mi accontentavo di trascorrere con lei lunghe ore di studio, oppure, quando non avevo molto da fare, le leggevo i miei fumetti preferiti e interpretavo tutti i personaggi. Diceva che avrei avuto un avvenire come doppiatore di cartoons. Rideva come una bambina. Oppure suonavo la chitarra e cantavo per lei: mi ascoltava con gli occhi che le brillavano, dicendo che ero bravissimo. In realtà sapevo di essere molto mediocre, ma Antonia non capiva niente di musica: in quel campo era pressoché analfabeta; le piaceva tutto quello che piaceva a me perché glielo trasmettevo subliminalmente e volevo che le piacesse. E a me stava benissimo quel suo analfabetismo, perché mi esimeva dalla necessità di parlare di musica per spiegare quello che in realtà non è da spiegare, ma da sentire. Perciò spesso ce ne stavamo senza far niente ad ascoltare musica tenendoci per mano.
La confusione stava lasciando il posto ad una nuova consapevolezza di me stesso, che proprio il sesso mi permetteva di scoprire: era un'esperienza molto diversa da quella che ricordavo e che avevo già vissuto con lei. Questo sulle prime non mancò di stupirmi. Padroneggiavo perfettamente la situazione, ero io a guidare il gioco adesso; stavo diventando adulto, la mia scelta l'avevo fatta, poco importava se incomprensibile ai più. Antonia invece, ogni volta che mi accostavo a lei per fare l'amore, provava una specie di panico primitivo. Erano passati due anni dal nostro precedente rapporto, ma conservavo ben vivo il ricordo della totale mancanza di inibizioni con cui lei prendeva l'iniziativa, dell'abbandono senza riserve che provava con me; in quell'indimenticabile periodo tutto nei nostri rapporti era spontaneo e intuitivo. Proprio per questo il suo tradimento mi aveva sconvolto: non capivo, e non capisco tuttora, cos'altro potesse desiderare una donna nel sesso. Non vedevo l'ora di assistere nuovamente a quello spettacolo, ma ben presto dovetti rendermi conto che in quei due anni le cose erano cambiate più per lei che per me.
L'uomo che stava scoprendo in me le incuteva soggezione. Ero un giovane uomo che aveva fatto parecchie esperienze e parecchio pesanti. Mi resi conto che lei mi temeva: quando mi accostavo a lei chiudeva istintivamente gli occhi, come se io la abbagliassi. Nel pieno dei miei diciotto anni ero davvero bello, ma questo con Antonia era un serio handicap, perché la mia ormai era una bellezza adulta, che lei non riusciva per così dire a metabolizzare: il suo ragazzino non c'era più, lo rimpiangeva disperatamente e nutriva nei miei confronti un po' di risentimento, come se io lo avessi sostituito, come se fossi un impostore. E poi temeva il confronto, temeva che potesse scatenarsi in me qualche reazione imprevista, temeva che io potessi mettere fine una volta per tutte al nostro rapporto giudicandolo troppo banale in confronto a quello che avevo vissuto con Gerti. Insomma, non so esattamente cosa temesse: sapevo soltanto di doverla aiutare. Lasciarsi andare per lei non sarebbe più stato facile. Pensai di rispolverare le tecniche che avevo messo a punto con Michelle, opportunamente depurate di tutto il loro contenuto perverso. Funzionarono, ed io pensai che se non altro tutta quella fatica non era stata inutile. Lei non opponeva resistenza, mi lasciava fare con una dolcezza arrendevole che non ho mai ritrovato in nessun’altra donna, probabilmente perché sapeva che per me tutto questo era terapeutico. Ogni tanto mi rendevo conto di sfinirla, e allora la imboccavo di cioccolata e pasticcini.
Di solito conservo inaccessibile una parte di me stesso, una zona off limits dove nessuno ha il permesso di entrare, specialmente durante il sesso; ma con lei era diverso: non avevo segreti per lei, era la mia donna, le appartenevo anima e corpo. Le descrivevo in diretta tutto quello che stavo provando: non sono mai riuscito a farlo con altri, né prima né dopo, e credo che non ci riuscirò mai più. Anzi, sarò sincero: non desidero affatto che accada. Quell'esperienza deve restare irripetibile.
Ero di un'assoluta imprudenza: anche se quello di avere un figlio era l'ultimo dei miei desideri, trovavo offensivo che lei prendesse precauzioni con me. Sapevo che era inevitabile, date le circostanze, ma non lo accettavo volentieri: niente di ciò che le veniva da me poteva essere male per lei.
Non so perché, dottore, ma l'istinto di procreare mi è sempre sembrato colpevole. Non affrettarti ad attribuire questa mia convinzione ad uno stato patologico: presto o tardi le circostanze dimostreranno che non ho tutti i torti. Purtroppo sapevo di amare una donna banale, altrimenti non si sarebbe ostinata a rimanere fidanzata con mio fratello; tanto valeva offrirle un paracadute: avere un figlio da me sarebbe stato meno squallido. A volte mi ritrovavo ad immaginare la scena: non le avrei permesso di far nascere nostro figlio nell’ambiente asettico di un ospedale; sarebbe nato in mezzo alla natura, io l'avrei aiutata, le avrei suggerito tutto quello che doveva fare. Il suo corpo non aveva segreti per me. Io sì, avrei potuto: ormai ero abituato ai miei miracoli.
E così passarono alcuni giorni che non esito a definire fantastici.
Un pomeriggio, mentre ero disteso nel fieno a studiare Kierkegaard e ascoltavo Kurt inedito in versione acustica, lei, giocherellando timidamente con una ciocca dei miei capelli, trovò il coraggio di chiedermi:
- Come va con le altre?
- Non ci sono altre - risposi voltando pagina.
Feci una pausa.
- Né altri - aggiunsi dopo qualche secondo.
- Dovranno esserci, lo sai.
- Senti qua: Nella genialità sensuale la musica ha il suo oggetto assoluto. Con ciò, ora, naturalmente non si vuole dire che la musica non può esprimere altro, ma che questo è tuttavia il suo proprio oggetto. È esattamente quello che ho sempre pensato.
- Che fai, cambi argomento?
Respinsi con durezza il suo tentativo di intavolare quel discorso.
- Antonia, - le dissi - sei libera di fare quello che vuoi di te stessa, ma ti proibisco di scegliere anche per me. Non provare mai più a farmi da mamma, okay?
- Non fraintendermi: per me sarà difficilissimo. Il fatto è che dobbiamo pensare al futuro, tutti e due.
- Non esiste il futuro: c'è solo il presente, ed è questo.
- Cosa farai quando sarò sposata con tuo fratello?
- Tu non sposerai mio fratello.
- Ascoltami Emmanuel: dobbiamo parlare seriamente. Per favore.
Sbuffai spazientito per farle capire che non avevo alcuna intenzione di parlare, ma lei continuò imperterrita:
- Cosa pensi di fare di me? Vuoi tenermi come amante finché non ti sarai stancato? E a quel punto cosa mi dirai: scusa mamma, è stato bello finché è durato? E come pensi che mi sentirò io allora? Non siamo in una favola, dobbiamo guardare in faccia la realtà: io so che presto dovrò perderti e tu sai che devi trovarti una ragazza della tua età. Ci vorremo bene lo stesso, tanto, perché lo sai che te ne voglio tanto, ma in un altro modo.
- Quale cazzo di altro modo?
Il mio tono di voce esprimeva una sorda irritazione che di per sé sarebbe stata sufficiente a troncare di netto quel discorso, se lei avesse avuto un po' di buon senso: ma Antonia sapeva essere completamente ottusa, e così continuò a parlare, decisa a farsi del male.
- Non importa come, il modo lo troveremo.
Non le risposi. Cercai di cambiare argomento:
- Non ti sembra che a tratti dica don't rape me invece di do-re-mi?
Lasciò cadere la mia domanda, pur sapendo che questo mi urtava profondamente, e riprese il discorso da dove lo aveva interrotto.
- E poi devi abituarti a questa idea: Michele e io ci sposeremo presto, ho quasi trentatré anni.
Appoggiai sul pavimento il libro aperto e mi distesi supino nel fieno con un braccio piegato dietro la nuca a fissare le ragnatele del soffitto, cercando di dominare la collera.
- Facciamo una scommessa, vuoi? - riprese lei - Fra un anno sarai già fidanzato con un’altra.
- Scommessa del cazzo.
- Scommettiamo?
- Cosa?
- Quello che vuoi tu.
Le diedi la risposta che si meritava:
- Okay. Se vinci tu, scopi con me. Se vinco io, scopo con te.
Sorrise e mi si sdraiò accanto, ma ormai l’incanto era spezzato e provavo un impellente bisogno di vendetta. Era il caso di farle capire chi aveva il coltello dalla parte del manico.
Le parlai con tono scortese:
- Passami una coperta, per favore, mi è venuto freddo. E piantala di interrompermi: sto studiando il capitolo su Don Giovanni e voglio capirlo bene.
- Certo, scusami: lo so che domani sei interrogato di filosofia, e poi fra poco hai l'esame.
- Non per la prof, non me ne frega un cazzo del suo giudizio: è un argomento che interessa a me.
Non sollevò obiezioni. Ricominciai a studiare e lei si strinse a me sotto la coperta, passandomi un braccio intorno alla vita.
Sbuffai allontanando il suo braccio.
- Devi proprio starmi così appiccicata? Mi togli l’aria.
Si scostò da me.
- Sai, - ripresi distrattamente, sottolineando con una matita un passaggio sul libro - stavo pensando che forse non è il caso di vederci così spesso.
- Scusami.
- Sul serio, Antonia, comincio a sentirmi un idiota a starmene qua nel fieno con te tutti i santi pomeriggi. Ogni tanto devo pur frequentare i miei coetanei. Non gente pericolosa, non preoccuparti: semplicemente miei coetanei. Cioè, non fraintendermi, non è che non mi faccia piacere vederti, è che...
Lasciai passare dieci secondi prima di pronunciare la fatidica frase:
- Ho bisogno di una pausa di riflessione.
- Ho detto scusami.
Constatai con soddisfazione che la sua voce era incrinata dal terrore.
Cercò di baciarmi una spalla, ma la respinsi con fastidio.
- Scusami, per favore - ripeté.
Chiusi il libro, mi alzai in piedi, esaminai un paio di cd e misi su Moist Vagina, il brano più tossico che io conosca; poi mi misi di fronte a lei, mi sbottonai i jeans, ravviai i suoi capelli, li avvolsi intorno al polso sinistro e tirai con forza verso il basso. Avevo impostato il brano in loop perché dura solo tre minuti e trentaquattro secondi ed era sottinteso che sarebbe servito un tempo più lungo: lei comprese perfettamente e si adattò alla situazione.
In me convivono personalità opposte: c'è la femmina, che sa essere sottomessa e dolcissima, ma c'è anche il maschio, ed è un maschio prepotente e bastardo. È un dato di fatto che quando mi sento offeso si risvegliano in me ataviche tendenze maschiliste. La lasciai fare guardando il soffitto in silenzio ed accarezzandole i capelli con la distratta benevolenza con cui si accarezza un cane. Non c’era niente per lei, la esclusi da tutto, annegai in me stesso le mie sensazioni senza lasciarmi sfuggire nemmeno un sospiro, concludendo in perfetta sincronia con l'interminabile rantolo finale del brano.
Era il mio modo di dirle che era stata una bambina cattiva. Ma era anche una strategia consapevole: credo che questo le piacesse molto, almeno quanto la mia dolcezza. Era fatta così Antonia: avermi tutto per sé le dava una sensazione di terrore, era sempre all’erta come se da un momento all’altro dovesse abbattersi su di lei una catastrofe; essere trattata come una puttana invece la rassicurava. Forse, se fossi riuscito a fare di lei la mia amante fissa, alternandola con una o più mogli, le cose fra noi non sarebbero andate come sono andate. Ma questo non sembra essere nelle corde del mio segno zodiacale. Magari se fossi stato un Gemelli, chissà.