Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
E' disponibile su Amazon l'intero romanzo di Emmanuel:
Sono inoltre disponibili su Audible, sotto forma di audiolibro, la prima e la seconda parte del romanzo di Emmanuel:
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte I (Il vento dentro)
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte II (La metafora perfetta)
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Il romanzo è tratto da un diario autentico, scritto da un adolescente di cui si sono perse le tracce anni fa, che chiameremo per convenzione Emmanuel; il libro è ambientato nei primi anni '90. Emmanuel è un adolescente irrequieto, incapace di accontentarsi del molto che possiede e con una personalità borderline che lo porterà a fare esperienze intense e disordinate, alla ricerca di un "senso". In questa sua ricerca travolgerà diversi personaggi, tra cui Antonia, la fidanzata del fratello Michele.
Gli interpreti sono due bravi attori-doppiatori, Elisa Gandolfi e Paolo Malgioglio.
Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
3.5. I cancelli dell'Eden - parte II (I guardiani del Paradiso)
Questo episodio, di particolare lunghezza ed importanza, viene proposto in due parti, di cui questa è la seconda.
Emmanuel ha vinto la partita con Antonia, riuscendo a legarla a sé in modo quasi patologico e creando in lei una grave dipendenza.
Un giorno però è costretto a rendersi conto, con stupore e angoscia, che questa situazione rischia di distruggere completamente la donna che ama. Di qui in avanti sarà costretto a decisioni importanti.
La colonna sonora comprende brani e cover di Syml ("Where is my love" e "Mr. Sandman") e Lana Del Rey ("Heroin").
Comunque con lei non riuscivo a fare il duro a lungo, crollavo sempre sul traguardo. Mentre mi riabbottonavo i jeans e tornavo a sedermi al mio posto la sentii tremare: pensai che avesse freddo (era un aprile insolitamente fresco, con temperature quasi invernali), la feci distendere nel fieno e la avvolsi nella mia coperta, ma non smetteva di avere i brividi. Che c’è, le chiesi. Niente, rispose, è solo che tu sei così bello, così giovane, e io invece.
Non avrei amato altrettanto una donna perfetta, erano proprio le sue debolezze e i suoi difetti a bucarmi l'anima, ma come spiegarglielo senza offenderla a morte? Devi smettere di vedere Frédéric, le dissi, è lui che ti fa sentire così; lei disse no, non è Frédéric, è che ho tanta paura; paura di cosa, le chiesi; di perderti, rispose con un filo di voce. La strinsi in un tenero abbraccio: non mi perderai, Antonia, le dissi, a meno che tu stessa non voglia perdermi; sei tu che fai tutto il possibile per perdermi, stai facendo tutto da sola. La coprii di baci allontanando con fermezza le sue mani che cercavano di coprire il suo seno, non devi vergognarti, non hai niente di cui vergognarti. Ero pronto per ricominciare, questa volta tutto per lei.
Non so come descrivere quei momenti, dottore; qualcosa blocca le mie dita sulla tastiera del pc. Agivo in preda a una sorta di allucinata esaltazione. Quando ci ripenso non sono i fatti a colpirmi, ma le mie parole; mentre le pronunciavo non smettevo per un solo istante di guardarla negli occhi, quasi a volerla ipnotizzare: avevo l’impressione di costruire tutto con quelle parole, una specie di mantra che sussurravo al suo orecchio in un rito pagano di cui io ero l’officiante e il cui esito era sempre esattamente quello sperato.
Lasciati accarezzare, non avere paura rilassati guardami non preoccuparti ci sono qua io, così non va bene stai opponendo resistenza apri gli occhi, ecco brava, pensa ad altro, pensa a un bosco d’estate, stai camminando fra gli alberi, respira senti l'odore dell'erba, sei bellissima guardami, ora sei fuori del bosco in un prato verdissimo, non avere paura sono qui non ti lascio andare, fidati lasciati andare respira, ti tengo non avere paura, grida se vuoi non ci sente nessuno, guardami negli occhi guardami guardami adesso vieni ora vieni con me non importa se finisce ricomincio, ricomincio subito, continuo per tutta la notte, continuo per sempre.
Esiste un motto greco che esprime lo spirito apollineo: medèn àgan. Non avevo mai capito il senso di questo monito: ora so che è profondamente vero. Ho letto da qualche parte che non avvertire l’eccesso come tale è tipico della psicologia del drogato: evidentemente la mia, con o senza droga, è la psicologia del drogato. Antonia era simile a me, la metà perduta del mio androgino.
Così l’ho legata a me, così l’ho persa.
Che mi succede?
Rileggendo queste ultime righe ho provato un conato di vomito. La mia mente sta diventando debole, non riconosce più il vero. Mi sto lasciando influenzare dalla cura, come se curare il male di vivere fosse possibile. Mi sto arrendendo alle richieste di chi mi vuole vivo, come se sopravvivere fosse importante.
Al diavolo, dottore: ho scritto un sacco di cazzate moraliste, e le ho scritte solo perché le leggerai tu. La verità è che me la scopavo fino a fondermi l'anima.
A certi livelli il sesso è misticismo puro. Il culmine del piacere coincideva con una zona di vuoto estatico, una caduta in un baratro psichico, frammenti di memorie prenatali mi risucchiavano nel grembo dell'essere, e mentre effondevo in ritmiche ondate la mia anima salivano a galla sussurri primordiali che si coagulavano in due parole: ti amo.
Non sono più riuscito a dirle a nessuno, quelle parole. Sono morto e risorto, chissà chi sono diventato. Una nullità, comunque. Con lei era tutto diverso e non pretendo di capire perché, come non pretendo di capire perché esiste il mare. La differenza fra me e voi psico-qualcosa è che io ammetto di non sapere un cazzo, dottore.
Era amore? Era paranoia? Non lo so. Il fatto è che voi non ne sapete più di me e avete la pretesa di giudicarmi, classificarmi, guarirmi perfino, quando l'unica cosa che mi ha mai fatto sentire vivo è stata la mia malattia. Ma che ne sapete voi? Per capirlo bisognerebbe essere vivi, o quanto meno esserlo stati in qualche momento della propria esistenza.
Ti devo tutto, ti devo la perdita del mio buonsenso, la mia anima stupefatta, il mio più intimo sconvolgimento; ti devo il non aver trascorso la vita senza che qualcosa fosse in condizione di scuotermi; ti ringrazio perché non morirò senza aver amato.
...
Non durò a lungo la nostra Arcadia ritrovata, o per meglio dire ricostruita: quei giorni di aprile trascorsero in un baleno, pieni di una felicità intrisa di malinconia, come se ad entrambi fosse evidente che prima vivevamo nell'Eden e che ora eravamo, per così dire, accampati davanti ai suoi cancelli, nonostante tutto felici di rivedere il giardino da fuori e ben decisi a non lasciarci cacciare via dai due cherubini guardiani: i quali, per fortuna, chiusero un occhio.
Alla fine del mese Antonia partì per una vacanza in montagna con mio fratello ed alcuni amici. Era tesa e preoccupata: temeva che senza la mia dose di endorfine quotidiane io potessi tornare a farmi del male, ma la rassicurai, garantendole che quel pericolo non esisteva. E infatti rimasi a casa a studiare per tutto il tempo e trascorsi quel breve periodo in assoluta castità, senza avvertire alcun bisogno di sostanze chimiche o respingendolo con forza se per caso si ripresentava. Il mio spirito faceva progressi, ero tornato in qualche modo sulle tracce del me stesso perduto: lo vedevo come da lontano, guardavo con stupore e compassione quel sedicenne scalzo e malvestito che correva a tuffarsi nel torrente con il suo cane sentendosi tutt'uno con la natura, ignaro di come sappia essere crudele; forse non era stato gran che come persona, ma era certamente migliore di me: non meritava che io lo trascinassi a rotolarsi nel letame fra gli adoratori della materia che lo avevano scelto come vittima sacrificale.
Riflettei sul fatto che doveva esserci uno scopo se ero stato messo sulla loro strada, e questo scopo non era evidentemente quello di essere sacrificato da loro, dato che mi ero sottratto al loro gioco. Riflettei anche sul fatto che, però, a quel gioco mi ero prestato. Riflettei sul fatto che avevo desiderato morire in quel modo, lasciandomi smontare come un manichino senz'anima. Riflettei sul fatto che mi era piaciuto farlo. Mi chiesi chi diavolo io fossi.
Eppure, a differenza di quei dèmoni, io un'anima ce l'avevo: non capivo esattamente cosa mi fosse successo, quale fosse la causa scatenante del mio istinto di autodistruzione, che non poteva evidentemente essere soltanto una conseguenza del fallimento del mio rapporto con Antonia. Molti interrogativi si assiepavano nella mia mente, ed io avrei fatto senz'altro meglio a cercar loro una risposta, ma in quel momento li accantonai con fastidio: tutto quel che occorreva, pensai, era riesumare quella componente spirituale e ridarle vita, perché Antonia era di nuovo mia e questa volta non potevo fallire.
L'affermazione non è corretta: in realtà lei non aveva mai smesso di essere mia. Era solo per un grottesco equivoco che avevo potuto credere il contrario, ma ora mi era evidente che, qualsiasi scelta esistenziale potesse fare, Antonia avrebbe amato solo me.
Durante la sua assenza lei mi telefonò un paio di volte di nascosto da mio fratello, con un tono di voce tremante che tradiva la sua angoscia: io, che mi sentivo perfettamente tranquillo, cercai di trasmetterle la mia serenità.
Quando la rividi a casa mia, al ritorno da scuola, mi parve dimagrita e pallida nonostante la leggera abbronzatura: il suo viso cosparso di piccole efelidi era stranamente segnato. Nel pomeriggio ci vedemmo al fienile e rimasi stupito dalla fretta ansiosa con cui volle fare l’amore, senza salutarmi, senza dire una parola, senza neppure spogliarsi, come uno che beve avidamente a una sorgente dopo una traversata nel deserto. Le chiesi della sua vacanza, ma ebbi l'impressione che lei allontanasse con fastidio quei ricordi, come se le evocassero soltanto sensazioni di noia. Preferì lasciar parlare me, che avevo ben poco da raccontarle, ma a metà del mio discorso smise di ascoltarmi, mi attirò a sé e volle ricominciare. Ansimava e gemeva mentre facevamo l'amore, tanto che mi chiesi se stesse provando piacere o dolore: lo decifrai come un dolore da cui ricavava un intenso piacere, e la cosa mi stupì alquanto. Non riusciva a smettere, mi travolse in una specie di vortice che continuò ininterrottamente fino a sera. Avvertivo qualcosa di stonato e di inquietante in tutto questo, ma sul momento non me ne preoccupai.
Il pomeriggio successivo, come al solito, sentii i suoi passi lungo la scala a pioli; di colpo però si fermarono: arrivata quasi in cima, improvvisamente scivolò piegandosi su se stessa. In un attimo mi slanciai ad afferrarla per un braccio, riuscendo per miracolo ad evitare che cadesse. La aiutai a salire e la distesi nel fieno.
- Ma cos’hai?
Mi chiese dell'acqua. La feci bere sorreggendole la testa.
- Cos'hai? - ripetei.
Invece di rispondere allungò una mano e mi tirò giù per i capelli, baciandomi disperatamente e slacciandomi la cintura dei pantaloni. Tremava dalla testa ai piedi. Mentre, turbato e con mani esitanti, la aiutavo a liberarsi delle mutandine, avvertii una sensazione di caldo e di bagnato e ritirai la mano: era piena di sangue. Sapevo che non c’era una spiegazione fisiologica per quell’emorragia. Mi colse un brivido di orrore. Mi tirai indietro e le dissi seriamente:
- Antonia, tu non stai affatto bene.
- Non preoccuparti, non ho paura di morire.
Cercò di attirarmi di nuovo a sé, ma io mi alzai e mi allontanai da lei con il cuore in gola.
- Domani vai dal dottore - le dissi - E basta sesso, ti fa male.
- Ma ti mancherà, ne hai bisogno.
- Non mi mancherà affatto, Antonia, cazzo. Mi manchi tu: te ne stai andando.
Compresi la sua paura inespressa ed aggiunsi:
- Non cercherò nessun'altra e non mi farò del male, te lo giuro.
Mi guardò con profonda gratitudine: solo allora il suo corpo, teso come una corda di violino, si rilassò, come pervaso da una profonda quiete, e lei appoggiò la testa sul cuscino. Le circondai le spalle con un braccio.
- Sono un po' stanca - disse con un pallido sorriso.
- Riposati, ci sono qua io. Dormi una mezz'oretta, se puoi - le dissi baciandole la fronte. La coprii bene, mi alzai e andai a sedermi sul bordo del fienile, con le gambe penzolanti nel vuoto. Mi sentivo stordito, sgomento, svuotato di ogni energia. Il mio cuore batteva forte per la paura.
Il crepuscolo stava scendendo, mentre la luna sorgeva all’orizzonte e i pipistrelli miei simili svolazzavano fra gli alberi contro la porpora del tramonto, a caccia di insetti.
Stordito dall'analogia, rimasi a lungo a guardare la scena, mordendomi le labbra a sangue.