Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season

3.17. Labirinti - Parte II (Emmanuel al matrimonio di Antonia fugge con Arianna)

Antonia Del Monaco Season 3 Episode 15

Dopo un colloquio piuttosto burrascoso sulla panchina del labirinto vegetale, durante la festa per il matrimonio di Antonia, Emmanuel e Arianna decidono di fuggire insieme. 
Gli interpreti sono Paolo Malgioglio e Elisa Gandolfi.
La colonna sonora comprende versioni strumentali o cover dei seguenti brani: 
 "Wedding Dance Gramophone Waltz", "Slow Waltz - River Flows In You" (Dj Ice), "Via con me" (Paolo Conte).
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After a rather stormy conversation on the bench in the vegetable labyrinth, during Antonia's wedding party, Emmanuel and Arianna decide to run away together.
The interpreters are Paolo Malgioglio and Elisa Gandolfi.
The soundtrack includes instrumental or cover versions of the following songs:
  "Wedding Dance Gramophone Waltz", "Slow Waltz - River Flows In You" (Dj Ice), "Via con me" (Paolo Conte).

- Da quanto tempo siete amanti?

Rimane interdetto per qualche secondo. Poi risponde con una domanda:

- Si vede così tanto?

- Si vede moltissimo, o per lo meno io lo vedo.

- Comunque amanti non è il termine esatto. 

- Come dovrei definirvi?

- Non lo so, ma non certo amanti. 

- È così importante?

- Certo che lo è: hai l'aria di una prima della classe, perciò sai che l'esattezza terminologica è il presupposto fondamentale per una comunicazione semanticamente corretta.

Che strana creatura: dove trova le risorse per apparire lucido, nel marasma totale del suo essere?

- Riformulo la domanda: da quanto tempo intrattenete i vostri rapporti?

- Da quasi tre anni.

- Così tanto? Sei giovanissimo. 

- La conosco da un'eternità.

- Ma perché proprio lei? Perché una donna così grande, e per di più fidanzata con tuo fratello?

- Non posso spiegartelo: sarebbe come descrivere il mare a un cieco.

Sorvolo sul paragone involontariamente offensivo.

- Provaci.

- Non so che dirti. So solo che mi è entrata nel sangue.

Prendo la bustina con due dita.

- Un po' come questa roba qui.

La faccio scivolare nella borsa insieme al resto, con l'intenzione di buttare tutto nel primo cassonetto dell'immondizia. Stranamente non cerca d'impedirmelo.

- Il paragone non regge: le sensazioni che dà la droga sono false, quelle che provavo con lei erano vere.

- Vero, falso, che vuol dire? Le sensazioni sono sensazioni. Farsi di endorfine è soltanto un altro modo di sballarsi. Se vuoi sapere come la penso, la signora ci sapeva fare a letto. Tutto qui.

Con questa provocazione un po' ingenua riesco ad ottenere l'effetto sperato: distrarlo dalla sua disperazione. Un lampo di collera accende il suo sguardo.

- Senti Arianna, non accetto lezioni di sesso da una sconosciuta. Se fosse come dici tu funzionerebbe con chiunque. Il sesso è un mezzo di comunicazione, funziona solo se c'è qualcosa da comunicare.

- Mi fa piacere sentirtelo dire.

- Quello che avevo da comunicare l'ho detto a lei, non ho altro da dire a nessuno. Se sopravvivo finirò per sposarmi con una donna qualunque, per fare una carriera qualunque, magari per avere dei figli, come se questo desse un senso alla vita.

- Lo dà, infatti.

- No, non lo dà. E non chiedermi perché.

Di colpo ricade nella realtà. Appoggia i gomiti sulle ginocchia e piomba con la testa fra le mani gemendo sconsolato:

- Il bouquet di rose bianche... Lei non lo sa il male che mi fa. Era il bouquet che avevo scelto per noi, non lo sopporto.

Difficile per me articolare una risposta a questa uscita irrazionale. Infatti taccio in ascolto della prossima.

- Dio, dimmi che non è vero. È terribile, non sa quello che fa, soffrirà come un cane. Avrei dato la vita per impedirlo.

E qui, devo ammetterlo, il ragazzo mi sorprende: nessuno nega che sia bello e desiderabile, un amante piacevolissimo per la cara cognatina, ma il suo sconforto e la sua angoscia mi appaiono grotteschi e sproporzionati. Decisamente si sopravvaluta. Cosa c’è di terribile, per una ragazza di estrazione sociale modesta (in Toscana si dice "senz'arte né parte"), nello sposare un manager in carriera, oltre tutto giovane e attraente come il fratello di Emmanuel? Mi ci metterei io, al posto della signora. Quella donna che ora sta ballando fra le braccia del suo novello sposo non ha proprio l'aria di essere afflitta, non capisco come lui possa credere il contrario. Cerco un modo per farglielo capire senza offenderlo:

- Sei depresso, per questo vedi tutto nero. Se ti sembra che lei stia così male, è perché stai male tu. La depressione è una malattia seria, non va sottovalutata: ma si può guarire.

Vedo la sua schiena curva, vedo il suo tremito. Non resisto più, mi chino su di lui e lo avvolgo in un abbraccio materno. So che questo lo farà piangere, ma piangere fa bene a chi è disperato. È caldo e palpitante come certi cuccioli, il profumo dei suoi capelli mi stordisce: nascondo il viso sulla sua spalla. Rimaniamo così per alcuni minuti, in silenzio. Poi mi decido a parlare:

- Come puoi pensare di frequentare tutti i giorni la moglie di tuo fratello dopo quello che c'è stato fra di voi? E per di più senza poterti confidare con nessuno? Non puoi mandare avanti questa finzione tenendoti tutto dentro, rischi di scoppiare. 

- È proprio così, infatti.

- Hai bisogno di andartene via da qui.

- È quello che stavo facendo.

- Non così, dai. Ho un'idea migliore.

- Che idea?

- Potresti chiedere il trasferimento nella mia scuola. L’anno prossimo avrò anch’io l'esame: lo prepareremo insieme, sarà divertente. Non preoccuparti per l'alloggio: i miei ti ospiteranno volentieri se glielo chiedo io; sanno che ho la testa sul collo, e poi sono figlia unica di genitori anziani, non mi dicono mai di no. Ti piaceranno, vedrai: sono persone semplici, in gamba.

- Sei davvero gentile, Arianna, ma non posso accettare - dice asciugandosi il naso col dorso della mano. Gli offro il mio fazzoletto.

- Perché?

Si soffia il naso e rimane in silenzio. Traduco il suo pensiero:

- Perché non puoi resistere così tanto tempo lontano da lei?

Fa segno di sì con la testa. Non mi resta che essere spietata e affondare il coltello fino in fondo:

- Lei ormai ha scelto un altro, ti ha escluso dalla sua vita. Non puoi farci più niente.

All'improvviso alza la testa con una luce strana negli occhi, come confortato da una prospettiva folle.

- Non è vero: posso ancora essere il suo amante.

La dipendenza è più grave del previsto: non sono preparata per fronteggiare questa situazione, ma non intendo cedere. Rispondo d'impulso:

- Senti, facciamo un patto: un anno, un anno solo. Il tempo di una cura disintossicante, anche meno. Poi, se vorrai, potrai tornare da lei, prostituire quel che resta della tua dignità e continuare a renderti ridicolo.

Sono stata crudele. Gli indoro un po’ la pillola:

- Probabilmente hai ragione, ci sarà ancora un posto per te nel suo letto: sei molto bello, non ti dirà di no.

Scuote la testa con un sorriso acido:

- Non era il suo letto che volevo. Ma va bene così, va bene anche così.

- Adesso no, dammi retta, sei troppo debole per poterci riuscire e lei è nettamente in vantaggio su di te: ha appena sposato tuo fratello, che fra l'altro mi sembra un ragazzo con parecchi numeri, e per qualche tempo farà la mogliettina devota. Fra un anno sarà diverso: starai bene e potrai tornare a cercarla, ma da una posizione di forza. Lei avrà sentito la tua mancanza e avrà un anno in più, che alla sua età conta moltissimo: magari nel frattempo sarà diventata mamma, e ti assicuro che occuparsi dei pannolini sporchi di un marmocchio mentre il marito gira per affari e gioca a tennis con gli amici riduce di non poco il fascino del matrimonio. Sarai in una condizione di vantaggio, avrai la partita in mano.

- Il marmocchio non credo proprio: Antonia non può avere figli. Sta facendo delle cure, ma non è detto che funzionino. 

Ride per non piangere.

- Dio, ci mancherebbe solo il marmocchio.

Insisto.

- Datti un'altra possibilità, per favore: cos'hai da perdere?

Rimane a lungo in silenzio, immerso in una riflessione penosa. Poi dice:

- Forse hai ragione. Hai ragione anche sul conto di mio fratello: l'ho sempre sottovalutato, ma alla fine ha vinto lui. 

- Perché non ti è venuto in mente di confidarti con lui? Credo che ti voglia bene.

Mi guarda come se fossi pazza:

- Stai scherzando? E cos'avrei dovuto dirgli, che mi scopavo la sua donna e ho fatto tutto il possibile per portargliela via?

- Sì, esattamente così. Si sarebbe arrabbiato a morte, ma poi avrebbe capito. È un uomo intelligente, da quel che posso capire, e avrebbe compreso che non è stata solo una storia di sesso, o almeno non per te: la tua disperazione è troppo evidente.

- Neppure per lei - dice secco, infastidito dal fatto che io ne dubiti.

- A maggior ragione avrebbe capito.

Scuote la testa:

- Tu sei pazza.

- Può darsi, Emmanuel, ma non più di tutti voi.

Tace a lungo.

- È tutto così strano - dice alla fine. Mi guarda e per la quarta volta mi chiede:

- Chi sei tu? Voglio dire: chi sei in realtà? 

Non gli rispondo.

- Non importa, tanto meglio se non esisti.

L'orchestra sta suonando un valzer al di là della parete di bosso. Mi alzo e gli tendo la mano.

- Balliamo, hai voglia?

- Un valzer? Mi prendi per il culo?

- Ti insegno io.

Gli cingo le spalle ed accenno a qualche passo di danza. Scuote la testa, ma si lascia condurre docilmente. 

- Sei bravissimo - gli dico. Rido come una bambina, senza rendermi conto che è troppo presto per l'allegria: distratta dalla mia felicità, mi ero quasi dimenticata che lui soffre moltissimo. All'improvviso, infatti, la mia risata lo colpisce come uno schiaffo. Si svincola bruscamente dal mio abbraccio:

- Lasciami. 

- Ti ho lasciato.

- Intendo lasciami solo. Per favore. Non so cosa sto facendo, devo essere impazzito. Il mio posto è qui: lei avrà bisogno di me prima o poi.

- E come pensi di aiutarla? Suicidandoti?

- Devo smettere infatti. Ce l'avevo fatta, ce la farò di nuovo.

- Mezz'ora fa non la pensavi così. 

- Mezz'ora fa era mezz'ora fa.

- Cosa ti fa pensare di riuscire a smettere?

- Ci riuscirò.

- Avevamo appena fatto un patto: avevamo detto che...

M'interrompe con durezza:

- Per favore, Arianna, basta. Sei stata gentile e ti ringrazio di tutto, sul serio, ma ti prego di non essere invadente.

Invadente. Questa parola mi colpisce come un pugno nel diaframma, lasciandomi altrettanto senza fiato. Io, Arianna Benvenuti, una persona così riservata da essere considerata addirittura scostante, sono stata definita invadente da un perfetto sconosciuto. Non mi sono mai sentita così umiliata in vita mia. Mi sistemo la gonna.

- Scusami.

Gli volto le spalle e mi incammino attraverso il corridoio vegetale, devastata da un senso di disagio inesprimibile.

Uscire da un labirinto non è poi così difficile: il labirinto è topologicamente equivalente a una stanza circolare con una o più porte; è quindi inevitabile raggiungere una porta seguendo sempre la parete interna della stanza. Il procedimento più semplice consiste nell'appoggiare la mano destra alla parete destra del labirinto all'entrata del labirinto e scegliere l'unico percorso che permetta di non staccare mai la mano dalla parete scelta, fino a raggiungere una delle eventuali altre uscite, o il punto di partenza. Se il labirinto ha una sola uscita, l'algoritmo conduce ad un vicolo cieco, dal quale si ritorna al punto di partenza semplicemente continuando a seguire la parete prescelta. 

Mi attengo scrupolosamente alla regola studiata ed in breve tempo raggiungo l'uscita: vedo di fronte a me il giardino assolato, che per un attimo mi abbaglia dandomi un senso di vertigine. Colgo con chiarezza il vuoto tremendo che sto lasciandomi alle spalle. Sto per incamminarmi attraverso il selciato del sentiero che conduce al ristorante, quando sento una voce provenire dal labirinto:

- Arianna.

Mi fermo in ascolto. Faccio ancora qualche passo lungo il sentiero, ma la voce mi chiama più forte:

- Arianna!

Decido di rispondere.

- Che c'è?

- Mi sono perso.

È un dato di fatto che il mio senso dell'umorismo interviene quasi sempre a distruggere il pathos delle situazioni drammatiche: non ho ancora capito se questo sia un vantaggio o uno svantaggio, ma in fondo la penso come Goethe: non ci sono conflitti inconciliabili per una mente superiore. La tragedia, nella mia vita, tende sempre a trasformarsi in operetta: la forza dell'umorismo trascina tutti i pesi a galla, costringendoli a restare in superficie. La superficialità è una virtù, se abbinata alla razionalità.

Pur essendo mortalmente offesa, scoppio a ridere al pensiero del mio Rimbaud che si aggira per i corridoi del labirinto alla vana ricerca dell'uscita. So bene che dovrei rispondergli "arrangiati", tanto più che il nostro eroe era entrato in quella trappola apposta per morirci come un topo, facendosi trovare stecchito da un'overdose di coca. Un oscuro istinto mi dice che sto sbagliando tutto mentre mi volto e ritorno sui miei passi. La mia razionalità latita, avrei urgente bisogno di ripassare l'abc della mitologia greca. E comunque, ormai l'istinto ha preso il sopravvento.

- Aspettami, vengo a cercarti - rispondo fredda.

Metto la mano destra sulla parete destra: seguendo il solito percorso dovrei trovarlo facilmente. Invece giro a vuoto per cinque minuti.

- Ma dove sei? - esclama lui da qualche punto del labirinto.

- Sta' calmo, sto arrivando.

Altri dieci giri a vuoto: comprendo che qualcosa non va.

- Che stai facendo? - gli grido a mia volta.

- Sto cercando l'uscita.

Sospiro rassegnata: quel ragazzo non capisce le cose più ovvie.

- Emmanuel, dovunque tu sia, sta' fermo: se continui a spostarti non ti troverò mai.

Ricomincio daccapo. "Incontrerai un punto dove ci sarà un solo percorso per attraversare le pareti incrociate. Questo sarà il punto di svolta. Dopo aver attraversato questo punto, potrai camminare a ritroso o in avanti". Trovo il punto di svolta: dopo altri cinque minuti finalmente m'imbatto in lui, o per meglio dire inciampo in lui, seduto per terra dietro un angolo e rannicchiato su se stesso come un bambino, con il viso nelle ginocchia. Trema tutto. Mi fermo a braccia conserte davanti a lui.

- Alzati - gli dico severamente.

- Scusami.

- Non ho bisogno delle tue scuse. 

- Hai ragione tu, non posso farcela adesso.

- Perfetto, vedo che finalmente l'hai capito. Ora muoviamoci, i miei si staranno chiedendo che fine ho fatto.

Si tira su con l'espressione stravolta di chi è in crisi d'astinenza: fingo di non vederla.

- Seguimi.

M'incammino davanti a lui: le piccole foglie fresche del pitosforo mi accarezzano il palmo della mano destra mentre procedo sicura verso l'uscita. All'improvviso lui mi afferra la sinistra e mi costringe a voltarmi, fissandomi negli occhi con una disperazione assoluta:

- Portami via, ti prego. Portami via di qui.

Annuisco senza rispondere e continuo a procedere sicura verso l'uscita del labirinto, guidandolo per mano come si fa con i ciechi.