Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season

5.6. Certe mezze verità (Emmanuel scopre una parte della verità)

Antonia Del Monaco Season 5 Episode 6

Un episodio cruciale, di svolta. 
Per quanto tempo ancora sarà possibile tenere Emmanuel all'oscuro della verità, nascondendogli che Antonia ha avuto un figlio da lui e non sta più con suo fratello? 
Il momento della verità si avvicina, e coinciderà fatalmente con il ritorno di Emmanuel a Torino, dove lo attendono i suoi che non lo vedono da un anno.
Nel frattempo Arianna studia una strategia per ammortizzare il colpo, facendo in modo che il ragazzo venga a sapere solo una parte della verità. Ma Emmanuel reagisce chiudendosi completamente in sé. 
Gli interpreti sono Elisa Gandolfi e Paolo Malgioglio. 
La colonna sonora comprende un brano di "Enola Gay" degli OMD. 
... 
A crucial, turning point episode. 
How long will it be possible to keep Emmanuel in the dark about the truth, hiding from him that Antonia had a child with him and is no longer with her brother?
The moment of truth is approaching, and it will inevitably coincide with Emmanuel's return to Turin, where his family members, who have not seen him for a year, are waiting for him.
In the meantime, Arianna studies a strategy to cushion the blow, making sure that the boy only learns part of the truth. But Emmanuel reacts by closing himself off completely.
The performers are Elisa Gandolfi and Paolo Malgioglio.
The soundtrack includes a song from "Enola Gay" by OMD.

Certe mezze verità

(luglio 1997)

 

Una placida giornata di luglio goduta nel più ovvio dei modi, in un silenzio caldo e riposante, su un dondolo che cigola piano avanti e indietro, la mano nella mano e gli occhi rivolti alla collina dipinta dai colori forti dei girasoli e dei cipressi. 

- Com’era contenta tua madre... E stasera voglio che parli anche col tuo babbo: gli telefoni appena arriva dal lavoro, promesso? Bisogna che tu vada a trovarli, poveretti, non vedono l'ora.

- Lo farò, prima o poi.

- Siamo tutti orgogliosi di te. 

- Per un misero cinquantadue?

- Perché misero? Cinquantadue è un bellissimo voto: praticamente nove meno.

- Parli dall’alto del tuo sessanta.

- Dall'anno prossimo sessanta sarà il voto minimo, lo sai? Meno male che non ci è toccata la maturità riformata, non mi andava di fare da cavia.

- Ma per adesso è il massimo, e tu naturalmente hai preso il massimo.

- Mi stavo appunto chiedendo cosa aspettassi a tirar fuori questa frecciata. La rispedisco subito al mittente: io ho studiato tutto l’anno, non solo gli ultimi tre mesi.

- Evidentemente bastavano tre mesi.

- Ammettilo, hai avuto un po’ di fortuna: l’orale di latino con la Contini come membro interno è stato una passeggiata per te. Ti guardava con certi occhi…

- Sì, diciamo che giocavo in casa.

- Lo sappiamo tutti che ha un debole per te. E pensare che potrebbe essere tua madre.

Sorride enigmaticamente fissando lo sfumato leonardesco all'orizzonte; i suoi occhi però non sorridono.

- Cos'hai? Non sei contento?

- È solo l’opinione di un gruppo di insegnanti, cosa c’è da essere contenti? Dovrei essere un idiota per esserne felice.

- D’accordo, ma questo non è un buon motivo per essere di cattivo umore. Cosa c'è che non va?

- Se ti dicessi che è morto uno dei miei musicisti preferiti? 

- Chi è morto? E quando?

- Non lo conosci. Aveva trent'anni, è morto da due mesi e non hanno ancora celebrato il funerale.

- Mi dispiace. Non capisco però come questo possa toccarti così profondamente.

- Vedi? È inutile parlartene.

- No, scusa, spiegami.

- Cosa dovrei spiegarti? Era uno dei miei miti, un genio figlio di un genio. Quando suonavo la chitarra e cantavo a volte mi sforzavo di imitarlo, ma mi rendevo solo ridicolo. Aveva una voce pazzesca.

- Suonavi la chitarra? E non me l'hai mai detto?

- Sì, la suonavo un po'.

- E cantavi?

- Sì, anche.

- In effetti hai una voce molto intonata, ti ho sentito cantare in macchina. Ma scusa, perché non hai mai suonato niente da quando stai con me?

- Non saprei cosa suonare adesso. E poi non ero niente di speciale.

- Uno non deve mica essere Segovia per suonare la chitarra.

- È un'esperienza finita, Arianna. Come tante altre.

- Peccato, Emmanuel, davvero: mi sarebbe piaciuto ascoltarti.

- Fa' conto che non ti abbia detto niente. Va tutto bene: sono stato promosso, sono qui con te, sono guarito dalle mie paranoie e fra poco ci iscriveremo a qualche facoltà universitaria di quelle serie. Grazie a tuo padre e alle sue conoscenze ho perfino evitato il servizio di leva. È tutto ok, non preoccuparti. Rilassiamoci, per favore.

Ricomincia a dondolarsi tenendomi per mano; mi ricordo improvvisamente che devo dirgli una cosa.

- Oh, a proposito: mi sono iscritta al poligono di tiro e ho iscritto anche te.

- A proposito di cosa?

- Di iscrizioni. 

- Sì, ma che c’entra il poligono di tiro?

- È sempre più pieno di gentaglia in giro, credo che sia importante imparare a sparare per difendersi.

Si volta a guardarmi con gli occhi sgranati.

- Sparare per difendersi? Ma sei impazzita?

- No, perché? Non ho intenzione di sparare sul serio addosso a qualcuno: mi basta sapere che potrei farlo. Comunque ho un'ottima mira, sai? L'istruttore mi ha fatto i complimenti.

- Ah, quindi ci sei già stata?

- Sì, un paio di volte.

- E non me l’hai detto?

- Non pensavo che fosse importante.

- Lo è abbastanza, se permetti, visto che hai iscritto anche me. Comunque non ho alcuna intenzione di andarci.

- Quindi non t’importa di difendere me in caso di necessità?

- Certo che me ne importa, ma non intendo sparare per farlo. Se dovessero aggredirti mi metterei in mezzo e probabilmente mi farei anche ammazzare per difenderti. Ma non ammazzerei a mia volta.

- Un vero uomo lo farebbe.

- Io non sono un cazzo di vero uomo, Arianna.

- E cosa sei?

- Stai cercando di darmi del frocio? Ti prevengo: sì, può darsi che io lo sia. Non sono mai stato maschio al cento per cento, si sa, è una vecchia storia.

Si chiude a riccio, lascia andare la mia mano e incrocia le braccia sul petto, fissando un punto lontano.

- Non intendevo affatto dire questo, Emmanuel: non so cosa ci sia nel tuo passato, ma ultimamente sei un po’ troppo etero per essere gay, non credi?

- Non lo so. Sono cose irrilevanti per me.

- Ma per me no: se tu fossi gay non potremmo stare insieme.

- Mettila come vuoi, ma al poligono di tiro non ci vado.

- Come preferisci: continuerò ad andarci da sola.

Gli si dipinge sul profilo un mezzo sorriso acido.

- Mi sa che t’interessa colpire l’istruttore, più che il bersaglio.

- Sì, è decisamente un bel ragazzo: alto e moro, sulla trentina, proprio il tipo che piace a me. E io piaccio a lui.

- Ah ecco. E allora raccontala giusta.

- Ma tu non sei geloso, giusto?

- No, non lo sono. Ad ogni modo, come vedi, ho ragione io.

- In che senso?

- La mia presenza al poligono sarebbe inopportuna.

- Ma io sono già fidanzata, Emmanuel.

- Davvero? E con chi?

- Con un tipo biondo e nordico, l’esatto opposto del mio ideale di uomo.

- Che peccato, eh?

- Penso che per lui farò uno strappo alla regola.

Gli prendo di nuovo la mano. Scuote la testa sorridendo e non risponde nulla.

Guarito?

Fisicamente sta molto meglio. Porta i capelli quasi corti adesso, si è irrobustito un po’ ed è leggermente abbronzato. Ha avvolto in un criptico silenzio il suo passato; non so come interpretare questo atteggiamento: non risponde alle mie domande, non ne parla mai, sembra non conservarne memoria. Il suo diario, che continuo a leggere di nascosto, è diventato una specie di resoconto impersonale di fatti quotidiani, zeppo di descrizioni naturalistiche, un fiacco esercizio di stile. Non serve neppure allo psicologo, che sospetta sia un depistaggio e preferisce parlargli di persona. Io non intendo approfondire l’indagine, perché mi sta benissimo così. 

L’anno è trascorso e so di dovergli qualcosa. Lo sa anche lui, ma, per una specie di tacito accordo, nessuno dei due entra nell'argomento. Abbiamo raggiunto con immensa fatica un precario equilibrio, non vogliamo rischiare di far crollare tutto con un movimento maldestro.

I miei genitori si sono affezionati a lui come ad un figlio, anche se continuano ad essere preoccupati per me: Emmanuel non rappresenta certo quel futuro solido e sicuro che un genitore si augura per la propria figlia. Quanto a lui, non so se sia felice, ma è sereno: finalmente, ora che ha recuperato la salute fisica e un minimo di stabilità psichica, si rende conto del pericolo mortale che ha corso e si aggrappa con forza disperata alle piccole cose di tutti i giorni. Ma il fatto di essere vivo e in salute può essere sufficiente per appagarlo? La sua psiche tormentata è capace di guizzi improvvisi e letali, come una vipera intirizzita quando la calpesti per sbaglio.

Cerco di ammansire i suoi dèmoni come posso: gli preparo la cioccolata calda, lo coccolo, lo vizio, lo porto a fare lunghe passeggiate. Facciamo spesso l’amore. Quasi tutte le notti, quando i miei dormono, esco dalla mia camera, raggiungo la sua e m'infilo nel suo letto, dove rimango fino all'alba. Poi rientro in punta di piedi in camera mia. È diventato un amante perfetto, attento a tutte le mie esigenze, ed è di una fedeltà assoluta: non presta il fianco alle provocazioni delle nostre compagne - ex-compagne, ormai - e delle altre ragazze. Spesso mi domando cosa potrei volere di più dalla vita: eppure mi rendo conto che manca qualcosa. Non mi è facile spiegare cosa.

È che ho sempre pensato che un uomo che ama davvero sia meno bravo, meno capace di cogliere i dettagli, più grezzo in un certo senso. Lui è sempre troppo padrone di sé: soffoca le sue reazioni, nasconde gli effetti del piacere, riprende subito il controllo. Ha uno strano pudore nel sesso. A volte lo prego di lasciarsi andare, ma sembra che la vergogna sia più forte di lui. Eppure non dovrebbe vergognarsi di fare l’amore.

Nella vita quotidiana però è sempre al mio fianco e mi asseconda con un'arrendevolezza disarmante. Ho scoperto che è bravissimo con i bambini e gli anziani: lavora con me al centro estivo, dove inventa sempre nuovi giochi per i piccoli, che lo adorano; ci siamo iscritti anche ad un’associazione di volontariato che si occupa di anziani non autosufficienti: dimostra una commovente abnegazione con loro, li fa ridere, li porta all’aperto spingendo le carrozzelle con braccia robuste. Mi dà un indicibile piacere vederlo così.

A volte mi domando se sia giusto mantenere con lui il segreto sulla maternità di Antonia, ma mi faccio passare in fretta il dubbio: tutti coloro che sono al corrente della situazione, anche quelli che non conoscono fino in fondo la verità, sono d’accordo sulla necessità di tenere Emmanuel all'oscuro della faccenda. Mi domando cosa possano avere intuito i suoi genitori: formalmente hanno deciso di credere alla tesi che Antonia abbia avuto il figlio da un tale che ha conosciuto subito dopo la separazione. È davvero una stupidaggine, ma per loro è la soluzione più comoda. L'unico che abbia espresso dubbi sull'opportunità di tacere la cosa ad Emmanuel è suo fratello Michele, con il quale ho avuto un breve colloquio subito dopo essere stata a trovare Antonia.

Mi ha colpita molto: è in un certo senso la versione sana di Emmanuel, con lineamenti più pronunciati e colori mediterranei. È un bel ragazzo, ma non si nota: il senso pratico che predomina in lui fa passare il suo aspetto in secondo piano, mentre in Emmanuel è quasi impossibile accorgersi di qualcos'altro. Del resto, uno come Michele non ha bisogno di puntare sui suoi mezzi fisici: lui è un uomo, nel vero senso della parola. Vuole bene a suo fratello e non conserva per lui (né, incredibilmente, per lei) alcun rancore: è nato vincente, sa bene chi ha perso la partita. Quando l'ho incontrato stava già con un’altra, una bruna volgare, assolutamente non alla sua altezza.

Fin dall'inizio ha deciso di nascondere ai suoi genitori la verità sulle cause della sua separazione; mi ha detto che è stata una decisione sofferta, perché detesta mentire. Da quel galantuomo che è, si è assunto tutta la colpa, inventandosi di aver lasciato sua moglie a causa di un ritorno di fiamma per quella ragazza, con cui aveva già avuto una storia in passato. Quando gli ho detto che sapevo chi fosse il vero padre e che lo avevo saputo direttamente da Antonia, mi ha pregata di mantenere il segreto con i suoi: mi sono affrettata a dirmi d'accordo con lui. Sono credente, ma in questo caso, mi vergogno a dirlo, sono convinta che un aborto sarebbe stato la scelta più sensata: e magari avrebbe anche salvato il matrimonio. Michele però non sembra pensarla così: ha una mente superiore, capace di non comune comprensione, o forse non gl'importava poi così tanto di salvare quel matrimonio.

Devo averlo messo a suo agio, perché mi ha fatto qualche confidenza. Mi ha detto, ad esempio, di essere rimasto molto colpito dalla reazione di sua madre: la signora Helena non ha manifestato né sorpresa né dispiacere alla notizia della separazione, come se in fondo se l’aspettasse, anzi, ci sperasse un po’. Ha detto freddamente: "Non voglio rivedere mai più quella donna: ha già fatto abbastanza male alla nostra famiglia". Lui, stupito, le ha chiesto il perché di quelle parole così dure, ma lei gli ha risposto soltanto: "Non sono una stupida, Michele" ed è uscita dalla stanza. Michele ha lasciato cadere il discorso e s'è messo a parlare di lavoro con suo padre, che ha fatto finta di niente, ma queste parole lo hanno turbato: è chiaro che sua madre non ha creduto alla versione ufficiale dei fatti, e forse deve avere anche intuito chi è il vero padre del bambino. Naturalmente non lo ammetterebbe mai, ha troppo buon senso per mettere nei guai il figlio prediletto: perciò le sta bene attribuire la paternità ad uno sconosciuto ed accontentarsi del fatto che Antonia è uscita dalla vita di entrambi i suoi figli. Forse la signora Helena, nonostante la sua apparenza distratta e svagata, è la persona più acuta della famiglia. Quanto all’ingegner Kellermann, non so se condivida i sospetti della moglie, ma è troppo solidale con il figlio maggiore per farne parola: per lui la questione è chiusa.

Su una cosa si sono detti tutti d'accordo: che fosse meglio lasciare Emmanuel all’oscuro della separazione di suo fratello, per non aggiungere ulteriori motivi di turbamento a quello che ufficialmente era “un grave esaurimento nervoso”. Perciò, durante i colloqui telefonici con i suoi, Emmanuel si è sempre sentito ripetere che a casa andava tutto bene. Giocava a nostro favore anche il fatto che, per ovvi motivi, non chiedesse mai di Antonia.

Ora però sta aspettando. Non dice nulla, continua a dondolarsi pigramente avanti e indietro, ma proprio questo suo silenzio è un eloquente invito ad attenermi ai nostri patti. Avevamo concordato un anno di tempo, dopodiché sarebbe stato lui a decidere del suo futuro. Il fatto che ci siamo fidanzati ufficialmente dovrebbe essere di per sé una garanzia e rassicurarmi sui suoi propositi, ma non sono tranquilla: per poter decidere gli manca un tassello troppo importante, indispensabile per ricostruire il quadro completo. Se solo potessi, non esiterei a nascondergli anche questo tassello, ma non posso. Ho temporeggiato finora, ma adesso sono con le spalle al muro: fra poco, quando andrà a trovare i suoi, sarà inevitabile che venga a sapere della separazione. Tanto vale giocare d'anticipo. Mi faccio coraggio e intavolo il discorso.

- Emmanuel.

- Sì.

- Dobbiamo parlare.

- Lo so.

C'è una pausa penosa.

- L’anno è passato.

- Lo so.

- Ora tocca a te decidere.

- Lo so.

- Ma c’è una cosa che devi sapere, prima.

- Cosa?

- Sono stata a trovare tuo fratello.

Per qualche secondo non dice nulla.

- Quando? - chiede poi.

- Qualche mese fa, durante le vacanze di Pasqua. Ti ricordi quando ti ho detto che andavo a trovare mia cugina Letizia a Milano?

- Non era vero?

- Certo che era vero, figurati se ti avrei detto una bugia così sciocca: ci sono andata, ma al ritorno sono passata da Torino.

Tace di nuovo per qualche secondo.

- Perché non mi hai detto niente?

- Era troppo presto.

- Ah. E ora invece?

- Ora invece no. 

- Continua.

- Mi è piaciuto molto tuo fratello.

- Non ne dubito. Sareste fatti l'uno per l'altra.

C'è un altro silenzio. Poi chiede:

- Come stanno?

- Come sta. Non vive più con Antonia.

Il dondolo si ferma. Il collo gli si ricopre di chiazze rosse.

- Da quando?

- Da un po'.

- Un po’ quanto?

- Qualche mese. 

- Qualche mese?

- Si sono lasciati quasi subito. 

- Ma perché?

- Il matrimonio non ha funzionato. Sai come succede, no? Incompatibilità di carattere.

- Incompatibilità di carattere? Dopo tutti quegli anni di fidanzamento? Stai scherzando?

- Sono serissima, Emmanuel. 

- È stata lei a lasciarlo?

- No, è stato lui: si è accorto che stava meglio con un'altra.

Scuote la testa aggrottando le sopracciglia.

- Non prendermi in giro, Arianna. Questo è impossibile, non è da lui: non può stare meglio con un’altra, non Michele. E poi un’altra chi? 

- Una bruna un po’ volgare, non so come si chiama.

- Assurdo, questa storia non si regge in piedi. E lei con chi sta adesso?

- Sola.

- Da chi l’hai saputo?

- Da lui. E poi... - mi schiarisco la voce - Sono stata a trovare anche lei. 

- Lei chi?

- Antonia.

Si volta. Sento su di me il suo sguardo, cupo come il mare d’inverno, pesante come un macigno.

- Che c'è di strano? Ci tenevo a conoscerla.

Per un lunghissimo minuto tace e continua a fissarmi. Poi, con un tono di voce grave e profondo, scandisce tre parole:

- Mi hai mentito.

- In un certo senso sì.

- No, non in un certo senso: mi hai mentito e basta, Arianna. La menzogna è un tradimento, e tu mi hai mentito.

- Per il tuo bene.

Si volta e si appoggia allo schienale.

- Per il mio bene. Okay. E che vi siete dette di bello?

- Abbiamo parlato di te, naturalmente: non è che abbiamo molti argomenti in comune.

- Già, ovvio. E a quali conclusioni siete arrivate?

- Anzitutto lei si rende conto del male che ti ha fatto.

- Oh.

- E le dispiace.

- Ah sì?

- Però sta bene adesso.

- Lo immagino: può aprire le gambe a Frédéric tutte le volte che vuole.

- A chi?

- Niente, va' avanti.

- Desidera che tu sia sereno.

- E che restiamo buoni amici?

- Sì, certo. Magari fra un po' di tempo.

Non riesce a trattenere una breve risata.

- È tutto fantastico. C'è qualche altra banalità da repertorio che mi devi riferire o può bastare così?

- No, non c'è altro.

Il silenzio che segue è pesantissimo.

- Dio, che delusione.

- Cosa?

- Massì, chi cazzo se ne frega.

- Ti capisco.

- No, non mi capisci affatto. Non so chi delle due mi capisca di meno. 

- Prova a spiegarmi.

- Qualcuno l’ha informata che hanno inventato quegli aggeggi che servono per parlarsi a distanza? Sai, quei cosi con i tasti, con o senza filo: si chiamano telefoni.

- Emmanuel, vedi, è proprio questo il punto: non volevo darti una delusione, per questo non ti ho detto niente. 

- Ma niente cosa?

- Non capisci? Se lei avesse voluto, avrebbe potuto telefonarti, ma non lo ha fatto. È stata una sua precisa scelta, quella di non cercarti. Non volevo dirtelo per non ferirti.

- E tu come lo sai?

- Me l’ha detto lei.

- Cosa? Cosa ti ha detto esattamente?

Decido di sorvolare sul fatto che lei lo aveva cercato più volte sul nostro telefono di casa. Richiamo alla memoria il nostro colloquio in modo da poter mentire a metà, che equivale a dire mezza verità.

- Ha detto: “non ho nessuna intenzione di coinvolgere Emmanuel in questa faccenda”.

Rimane senza parole. Apre la bocca e la chiude, dando l’impressione di masticare l’aria. Poi la riapre e gli esce soltanto un suono:

- Ah.

Ricomincia a dondolarsi e salta di palo in frasca.

- Andiamo alla Fenice stasera? Replicano Trainspotting: l'anno scorso me lo sono perso.

- Andiamo pure, anche se ho paura che non sia il mio genere.

- Infatti non è decisamente il tuo genere.

- Poi però, quando esce, andiamo a vedere Full Monty: m'han detto che è divertente.

- Domani ti porto al convento dei cappuccini, ti va?

- Come no: mi fa molto piacere.

- E ad agosto ce ne andiamo una settimana in qualche posto un po’ selvaggio, io e te da soli. La costa occidentale della Corsica, eh? Che ne dici?

- Sarà un problema prenotare il traghetto adesso.

- Allora andiamo verso sud senza una mèta, a casaccio, come gli zingari.

- Non sarebbe più confortevole un albergo?

Non risponde. Tace per dieci minuti, poi si alza, raggiunge lo stereo portatile e mette su un cd.

Enola Gay

You should have stayed at home yesterday

Ah-ha, words can't describe

The feeling and the way you lied...

- Perché questa canzone?

- Non hai detto che ti piace la disco music anni Ottanta?

- Sì, ma perché proprio questa canzone?

- Così. Mi andava di sentire qualcosa di adatto alle circostanze.

Torna a sedersi sul dondolo e si dà una spinta così forte che per poco non lo ribalta. Poi piega le ginocchia, raccoglie le gambe sul sedile circondandole con le braccia e comincia a cullarsi in posizione fetale.

Questo dondolio ossessivo mi ha fatto venire la nausea. 

Tiro fuori un biglietto e glielo mostro. Lo guarda con la coda dell’occhio, le iridi blu circondate da strane venuzze rossastre.

- Cos'è?

- Il suo nuovo numero di telefono.

Il dondolo si ferma. I suoi occhi fissano ipnotizzati il pezzo di carta. Si volta a guardare il vuoto davanti a sé.

- Buttalo via.

Accartoccio il biglietto e lo bacio piena di gratitudine. La sua guancia è bollente.