Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season

2.17. Roulette russa (Perché non ti accorgi che sto morendo?)

Antonia Del Monaco Season 2 Episode 16

In questo drammatico episodio, uno dei più importanti del romanzo-diario, ascoltiamo di nuovo la voce narrante di Antonia.
Troppo tardi Emmanuel si rende conto che sta giocando un gioco molto pericoloso, che potrebbe costargli la vita. Il ragazzo tenta disperatamente, provocatoriamente, di chiedere l'aiuto di Antonia e di riallacciare un rapporto con lei, ma si rende conto con angoscia che le cose sono molto cambiate per entrambi.
Gli interpreti sono Elisa Gandolfi (voce narrante) e Paolo Malgioglio.
Durante l'episodio si possono ascoltare cover o live dei seguenti brani di Lana Del Rey:
"Music to Watch Boys To", "Body Electric" e "Summertime Sadness".
...
In this dramatic episode, one of the most important of the novel-diary, we hear Antonia's narrative voice again. 
Too late Emmanuel realizes that he is playing a very dangerous game, which could cost him his life. The boy desperately, provocatively tries to ask for Antonia's help and to re-establish a relationship with her, but he realizes with anguish that things have changed a lot for both of them. 
The interpreters are Elisa Gandolfi (narrator) and Paolo Malgioglio.
During the episode you can listen to covers or live versions of the following songs by  Lana Del Rey :
“Music to Watch Boys To”, “Body Electric” and “Summertime Sadness”.

Roulette russa
Dove i protagonisti si trastullano con un giochetto di cui, palesemente, non
avvertono il pericolo mortale.

Da qualche settimana, su richiesta di Michele, ho ricominciato a seguire Emmanuel
nello studio: il suo rendimento scolastico è calato all'improvviso; mamma Helena è
andata a parlare con i professori e tutti si sono detti preoccupati della sua cronica
distrazione; qualche firma sul libretto delle assenze, poi, è risultata falsa. La povera
signora ha evitato di allarmare il marito ed ha preferito parlarne con Michele, che
mi ha subito telefonato ed ha chiesto il mio intervento: non sono riuscita a dire di
no, perché sono preoccupata anch'io.
La professoressa di matematica ha sdrammatizzato, si sarà preso una cotta, è
normale alla sua età: ma spesso gli insegnanti, pur di non assumersi responsabilità
educative, sono capaci di negare l'evidenza. Minimizzare, non vedere, non sentire,
avallare sempre la spiegazione mainstream: la scuola pubblica si attiene per prassi
a questi aurei precetti, anche per questo non potrò mai insegnare. Del resto, non
fanno così anche i genitori?
Ma io, che lo conosco bene, so che è impossibile attribuire ad un'infatuazione
questa difficoltà di concentrazione, questo appannamento delle facoltà
intellettuali: la sua è una mente agile e vivace, non si lascia ottundere dall'amore,
che semmai, al contrario, lo esalta e lo rende più pronto all'apprendimento.
Nessuno lo sa meglio di me. Ora è stordito, i suoi processi mentali sono rallentati,
è come se la sua intelligenza stesse regredendo. Avverto un senso di profondo
allarme e cerco di metterlo a tacere dandogli alibi banali: forse la primavera, ma
non è ancora primavera; forse la crescita, forse un po’ di anemia. Gli ho suggerito
delle analisi del sangue, ma mi ha riso in faccia: brava, già così mi prendono per un
tossico, figuriamoci poi con i buchi nelle braccia.
Siamo soli in casa. Sto cercando di aiutarlo a dipanare il groviglio sintattico del
celebre brano in cui Tucidide spiega la funzione dei discorsi diretti, quando
all'improvviso mi vien fatto di chiedergli, abbastanza scioccamente in verità, chi sia
la ragazza che un paio d'ore fa ho visto uscire dalla villa. Mi ha colpita molto: è bella,
alta, con un portamento principesco.
- È una, - risponde vago - una delle tante. Zona Eremo.
- Avrà pure un nome.
- Non serve saperlo, per quello che dobbiamo fare insieme.
- Dovete?
- Vogliamo - si corregge.
Mi immergo nuovamente nei meandri sintattici del testo greco, cercando una
spiegazione logica a un pronome relativo apparentemente senza rapporto con il
resto del periodo, ma mi accorgo che non mi segue.
- Si chiama Michelle.
- Allora te lo ricordi, il suo nome.
- È un bel nome, non trovi?
- Anche lei è bella, ma ha qualcosa che non mi piace.
- Forse sei gelosa.
- Perché dovrei?
- Già, perché dovresti?
Lo sono, ovviamente, ma provo un intenso trasporto affettivo per lui e non voglio
lasciare spazio a sentimenti negativi che possano avvelenare questo stato di grazia.
Sto imparando, con grande fatica, a stargli vicino come una sorella, e la gioia che
provo nel riuscirci è una vera rivelazione per me. La morsa che mi stringe il cuore
si sta allentando: finalmente posso sperare di rimanergli accanto senza perderlo.
- Ho capito - esclamo appoggiando amichevolmente una mano sulla sua -
L'anacoluto è solo apparente: c'è un verbo sottinteso dopo la comparativa.
Ritira la mano.
- Molto interessante. È una di quelle cose che, a saperle, ti cambiano la vita.
Si alza e mette su uno dei suoi dischi, una strana ballata che trasuda un fascino
malsano; mi volta le spalle per qualche minuto.
- Dormi abbastanza? - gli chiedo.
- Perché questa domanda?
- Non so, quelle occhiaie.
- Spesso faccio tardi con lei.
- Dovresti riposarti di più: sei un po’ sciupato.
Si volta e mi guarda all'improvviso con una strana espressione.
- Avanti, perché non me lo chiedi?
- Cosa?
- Cosa faccio con lei. Stai morendo di curiosità.
- Non ti sembra di esagerare?
- No, perché?
- È una domanda stupida: non ci vuole molto a capire cosa fate insieme.
Scuote la testa passeggiando per la stanza:
- Acqua.
- In che senso?
- Nel senso di acqua.
Canticchia le strofe finali della canzone girando su se stesso con le braccia aperte
ad occhi chiusi.
La musica finisce: ferma il cd, apre gli occhi e mi fissa con uno sguardo vuoto:
- Se vado fuori di testa mi vorrai lo stesso?
- Ma che dici? Tu non andrai fuori di testa. E poi mi vorrai in che senso?
- Guarda che hanno chiuso i manicomi e i miei non sapranno cosa farsene di un
idiota per casa. Mi terrai con te?
- Emmanuel, sei impazzito?
Ride e torna a sedersi.
- Massì, ti sto prendendo per il culo, prof.
Mi ero spaventata sul serio. Conto fino a dieci per dominare la collera e rispondo
fredda:
- Me ne sono accorta.
- Allora, lo vuoi sapere o no cosa faccio con lei?
- No.
- È simile a te, per certi versi. A vederla sembra una brava ragazza. E invece...
- Cos’è, una sfida?
- I tempi sono cambiati, professoressa: sfidarti non è precisamente la mia attività
preferita. Diciamo che mi diverto con qualche piccola provocazione innocente.
Colgo la citazione.
- Mi dispiace Emmanuel, - gli rispondo - non vedo più traccia di innocenza in te.
Si alza di nuovo e mi volta le spalle, cacciandosi le mani in tasca.
- Ti sei presa la mia verginità, - dice con tono brutale - e non parlo di quella fisica.
Ora non hai nessun diritto di giudicarmi: mi arrangio come posso.
Non rispondo nulla: un misto di emozioni contrastanti mi ribolle dentro, ma su
tutte prevale la rabbia. Non capisco perché mi stia provocando in modo così
plateale proprio nel momento in cui sto cercando di aiutarlo, come se non si
rendesse conto che dominare i miei sentimenti mi costa un'immensa fatica. Peggio:
come se se ne rendesse perfettamente conto e volesse intenzionalmente ferirmi.
Non credo di meritarlo, non adesso che sto facendo del mio meglio per essergli
amica. Sento che sto per piangere e non voglio dargli questa soddisfazione.
Prende la sedia, la gira al contrario e torna a sedersi a cavalcioni davanti a me,
appoggiando il mento sullo schienale. Scruta spietatamente la mia espressione:
come temevo, non solo non prova tenerezza per il mio star male, ma anzi mi guarda
con un sorriso di ironica superiorità, con l'aria di chi dice "te la sei cercata, ora non
pretenderai anche la mia comprensione". Emmanuel mi vuole male, mi sento
morire. Poi dice:
- Devo ringraziarti, sai? Non è facile accontentare una come Michelle. È anche
merito tuo se sono diventato bravo: le donne frigide sono un'ottima palestra.
Gli mollo un violento ceffone prima ancora di rendermene conto. Non fa una piega:
- E con questo fanno due. - commenta- Non sei neppure originale.
Le labbra mi tremano per la rabbia e l'umiliazione. Pronuncio quelle parole prima
ancora di rendermene conto:
- Avanti, ragazzino: fammelo vedere, cosa sai fare.
Si stringe nelle spalle con un'espressione che significa vabbè, ma allora dillo che
vuoi farmi vincere facile. Si alza e mi viene incontro. No aspetta senti dico, ma ormai
è tardi: cado al rallentatore, sento il tappeto ruvido contro la mia schiena, chiudo
gli occhi.
Non lo riconosco più: ha un modo di fare l’amore tecnico e genitale, con un’assoluta
mancanza di coinvolgimento emotivo, in un silenzio rotto solo da qualche fredda
esortazione, girati muoviti ecco così, e da qualche commento crudo, cerca di non
metterci la solita mezz’ora. Ha l’odore di quella ragazza sulla pelle, uno strano
odore di muschio, sudore e incenso che si mescola al mio. Sono intimidita, umiliata,
non reggo a quell’orribile confronto. Mi sento dilaniata da un misto di emozioni
opposte, devastata dalla gelosia al pensiero che poche ore fa abbia fatto provare ad
un’altra le stesse sensazioni e nel contempo orgogliosa di lui fino alle lacrime
perché è bravo, sì è bravo, il mio bambino è bravo, è un uomo.
Questo stato d’animo sfocerà nella follia se lo lascio durare un solo secondo di più:
devo smettere, smettere subito. Non lo faccio finire, lo allontano bruscamente da
me e mi alzo. Mi ricompongo davanti allo specchio con mani tremanti:
- Hai fatto bene a darmi questa lezione, sai? Se prima potevo avere qualche dubbio,
adesso è tutto chiaro: non hai più bisogno di me da nessun punto di vista.
Mettiamola così, ho esaurito la mia funzione storica nei tuoi confronti.
Mi riaggancio gli orecchini e mi sistemo la gonna alla bell'e meglio. Poi mi allontano
in fretta chiudendo la porta dietro di me.
In passato mi piaceva conservare il suo odore addosso, ma questa volta non vedo
l’ora di liberarmi di ogni traccia di lui. Corro in bagno e faccio una rapida doccia, mi
asciugo i capelli e mi rimetto a posto il trucco: Dio, sono orribile, dimostro dieci
anni di più.
Quando ripasso davanti alla sua stanza sento uno strano silenzio. Faccio per
andarmene alla chetichella, ma all'improvviso l'ansia mi assale. Socchiudo la porta.
Emmanuel tiene la testa sotto il cuscino e lo preme convulsamente come se volesse
soffocarsi. Non posso lasciarlo così.
Entro in camera, mi siedo sul letto e cerco di allontanare il cuscino dal suo viso: si
rivolta con un’espressione selvatica e disperata, mi azzanna la mano come un
animale rabbioso.
- Ahia, sei matto?
Mi fissa con infinito odio. Lo ammansisco con qualche carezza e lo rimetto in ordine
con gesti precisi, asciugandolo con il mio fazzoletto, infilandogli la canottiera nei
boxer azzurri con la stampa di piccoli paperi bianchi, tirandogli su i pantaloni di
tela militare con grandi tasconi sulle cosce mentre lui istintivamente solleva il
bacino per aiutarmi, sistemandogli il maglione arrotolato sul petto perché non
prenda freddo.
- Non volevo - dice - Scusami, ti prego.
Un muro di ghiaccio si scioglie dentro di me: forse è stato solo un brutto sogno.
- Non è successo niente - gli dico accarezzandogli il viso.
- Faccio schifo, lo so.
- Macché schifo, sei solo un po’ confuso.
Mi guarda con le pupille dilatate.
- Ti ho mentito. Non sono bravo con lei, non sono per niente bravo.
- Sì che sei bravo. Bravissimo.
- Non hai neppure voluto finire.
- Non mi piace fare l'amore in quel modo.
- Infatti quello non è fare l'amore, è scopare.
- Non è bello. Non con te.
- Hai ragione, non è per niente bello.
- Sei diventato un uomo, io ricordavo un ragazzo. In un certo senso sei diventato
troppo bravo per me. Mi sono... spaventata, ecco.
- Bravo da fare spavento, insomma.
- Sì.
Ride senza motivo in un modo che mi dà i brividi.
- Sei lontanissima dalla verità. Con lei sono una frana.
- Non ci credo, non è possibile.
- Ma sta cercando di guarirmi, sai?
- Non hai nulla da cui guarire - replico offesa, come se la cosa mi riguardasse
personalmente.
- No, ti dico che con lei non sono bravo. Sembra a te che io sia bravo perché tu sei
tu, ma non è così. Devi credermi, cazzo!
- Va bene, ti credo, non ti agitare.
- Ma ha trovato la cura. Non vuoi sapere qual è?
- Non voglio sapere nulla, stai dicendo un sacco di stupidaggini. Ora cerca di
dormire un po'.
Mi stringe le mani.
- Non dirlo mai più. Mai, mai, hai capito?
- Cosa?
- Che non ho più bisogno di te. Io... se tu non...
Si volta, chiude gli occhi e si morde il labbro.
- Non so quello che voglio, non so più niente. Ho paura. Non lasciarmi solo.
- Sono qui, non ti lascio.
Mi stringe fortissimo, dimmi dov’è quel maledetto anacoluto, adoro gli anacoluti,
non posso fare a meno degli anacoluti. È in uno stato confusionale. Gli dico non
preoccuparti, ne troveremo almeno tre di anacoluti, ma prima devi fare un
sonnellino. Risponde di sì, a patto che io rimanga accanto a lui; si distende a faccia
in giù sul cuscino.
- Così non respiri - gli dico, cercando di voltargli la testa.
- La luce. Mi dà noia la luce.
La spengo. Sistemo il cuscino e lo sento bagnato di lacrime.
- Lei non è una delle tante, vero?
Scuote la testa senza dir nulla.
- Sei innamorato di lei?
Esita un attimo, poi risponde:
- Non lo so. Sono confuso. Non riesco a farne a meno.
Gli accarezzo la fronte e la sento molto calda.
- Non è la ragazza giusta per te.
- Non mi vuole bene. Non dice mai il mio nome, mai.
- Io ti voglio bene, Emmanuel.
Mi morde la mano fino a farmi male.
- Te ne voglio davvero - ripeto con fermezza - Solo che devo imparare a volertene
nel modo giusto.
Allenta la morsa dei denti e stacca la ventosa delle labbra dalla mia mano,
lasciandovi un segno caldo e bagnato.
- E quale sarebbe il modo giusto?
Stringo la sua mano.
- Questo.
Rimane per un po’ in silenzio; poi fa un’affermazione farneticante:
- Per me va bene se scopi con gli altri, così posso farlo anch’io, okay?
Non è affatto okay, ma gli rispondo di sì.
Ride sommessamente ad occhi chiusi. Poi riprende:
- Ne abbiamo di scheletri nell'armadio noi due, eh?
Non so cosa rispondergli. Continuo a stringerli la mano, che trema leggermente
nella mia. Dopo un po' mi chiede:
- Non li guardiamo più i cartoni animati?
- Certo che li guardiamo. Domani li guardiamo.
- Tegame deve fare la pipì. Lo metti fuori tu?
Il mio cuore perde colpi.
- Ci penso io, non preoccuparti. Ora dormi.
Si aggrappa alla mia mano, chiude gli occhi e mi augura la buona notte.
È scosso dai brividi, contrazioni involontarie gli induriscono i muscoli della
mandibola; ogni volta che scivola nel sonno si risveglia di soprassalto come se
cadesse nel vuoto e i suoi occhi si spalancano a controllare che io ci sia ancora. Poi,
finalmente, si assopisce.
Teresa fa bene ad essere preoccupata: la situazione è allarmante, sembra che stia
smarrendo la ragione. Lo sguardo mi cade su un bicchiere vuoto rovesciato sul suo
comodino, con un cucchiaio dentro. All’improvviso ho una visione: un buco nero,
un lampo, un avido risucchio di antimateria.
Il cuore mi si ferma in petto.