Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
E' disponibile su Amazon l'intero romanzo di Emmanuel:
Sono inoltre disponibili su Audible, sotto forma di audiolibro, la prima e la seconda parte del romanzo di Emmanuel:
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte I (Il vento dentro)
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte II (La metafora perfetta)
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Il romanzo è tratto da un diario autentico, scritto da un adolescente di cui si sono perse le tracce anni fa, che chiameremo per convenzione Emmanuel; il libro è ambientato nei primi anni '90. Emmanuel è un adolescente irrequieto, incapace di accontentarsi del molto che possiede e con una personalità borderline che lo porterà a fare esperienze intense e disordinate, alla ricerca di un "senso". In questa sua ricerca travolgerà diversi personaggi, tra cui Antonia, la fidanzata del fratello Michele.
Gli interpreti sono due bravi attori-doppiatori, Elisa Gandolfi e Paolo Malgioglio.
Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
3.7. Giochi di specchi (Troppo tardi per cambiare vita?)
Proprio quando Emmanuel pensa che le cose tra lui e Antonia possano prendere la piega desiderata e decide di cambiare radicalmente vita (e look), arriva un fulmine a ciel sereno che lo mette KO: Antonia si ammala seriamente.
Gli interpreti sono Paolo Malgioglio e Elisa Gandolfi.
La colonna sonora è composta da cover di "Blue Jeans" e "Cola" di Lana Del Rey, "Cu'mme" di Roberto Murolo e Mia Martini e "Superstar" dei Sonic Youth.
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Just when Emmanuel thinks that things between him and Antonia can take the desired direction and decides to radically change his life (and look), a bolt from the blue comes that knocks him out: Antonia becomes seriously ill.
The interpreters are Paolo Malgioglio and Elisa Gandolfi.
The soundtrack consists of covers of "Blue Jeans" and "Cola" by Lana Del Rey, "Cu'mme" by Roberto Murolo and Mia Martini and "Superstar" by Sonic Youth.
Mi tiro su dal letto e mi appoggio su un gomito, ancora assonnato: nello specchio dell'armadio di fronte una specie di ambiguo arcangelo ricambia il mio sguardo sbattuto attraverso la cortina dei capelli biondi che gli ricadono sul viso. Lo fisso stupefatto, anche lui mi fissa. Mi chiedo cosa ci faccia un estraneo nel mio letto.
All'improvviso comprendo: il messaggio che trasmetto ad Antonia attraverso il mio corpo è in totale contraddizione con quello che dichiaro di voler essere; finirò per non poter rispettare i patti da me stesso stabiliti, e questo è un errore che non posso permettermi. Ho già fatto troppe stupidaggini in passato, ora è una cosa seria. In realtà lo è sempre stata, ma l’ho affrontata con una leggerezza assurda, fidandomi ciecamente di lei e lasciandomi trasportare dall’onda delle emozioni, pensando che fosse sufficiente provare dei sentimenti, come se il cervello non servisse a niente. Invece serve: serve ad evitare di comportarsi come quell’idiota che purtroppo ho dimostrato di essere.
Prendo immediatamente una decisione.
Nel pomeriggio, dopo la scuola, salto in sella (ho preso la patente appena ho potuto, ma continuo a preferire il mio vecchio motorino), scendo a rotta di collo lungo strada Val San Martino e mi fermo dal primo parrucchiere che trovo, zona Vanchiglia: un negozietto un po' anonimo ma pulito e ben tenuto. Lui mi guarda nello specchio, il sorriso complice sotto i baffetti neri, la mano destra alzata a impugnare le forbici, la sinistra abbassata a reggere il pettine:
- Come li volete?
È un napoletano all'antica, di quelli che danno del voi a tutti e ti fanno sentire subito a casa. Mi aspetto che da un momento all’altro mi offra un caffè, naturalmente fatto con la napoletana. Lo guardo nello specchio:
- Corti.
Appare contrariato.
- Siete sicuro? È un peccato, avete dei capelli bellissimi.
Gli rispondo adeguandomi alle sue convenzioni linguistiche per non risultare scortese:
- Sono sicuro, non vi preoccupate.
- Che taglio?
- Fate voi: mi fido.
Si rassegna e inizia il suo lavoro. Abbasso lo sguardo su una rivista e non parlo più; con la coda dell'occhio vedo le ciocche dei miei capelli cadere sul pavimento. Cedo alla stupida tentazione di leggere il mio oroscopo: “Tutta in salita la settimana per i nati della prima decade, che dovranno armarsi di pazienza e coraggio per fronteggiare uno spiacevole imprevisto. Mercurio è ancora prigioniero di Saturno”.
Chiudo la rivista e la poso sulla mensola di fronte a me: devo smetterla di leggere queste fesserie, è uno spreco di tempo imperdonabile. E poi come si permette Saturno di tenere prigioniero il mio Mercurio?
- Lo volete un caffè? - mi chiede sorridendo il parrucchiere ad un certo punto, proprio come immaginavo.
- Volentieri - rispondo. Chiama un garzone che sta rassettando il negozio e gli ordina di preparare due caffè. Pochi minuti dopo il ragazzo è di ritorno con due bicchierini di vetro fumanti. Aggiunge la quantità di zucchero richiesta e ce li porge. Il parrucchiere interrompe il suo lavoro per qualche secondo, giusto il tempo necessario per bere il suo caffè, mentre io lo appoggio sulla mensola e lo sorseggio con calma per farlo durare più a lungo, rinfrancato da quella bevanda forte, calda e squisita (mio nonno diceva che nessuno sa fare il caffè come i napoletani, e aveva ragione).
- Ecco fatto - dice il brav’uomo alla fine, spolverandomi la nuca con un grosso pennello morbido che mi solleva intorno al collo una nuvola di borotalco profumato. Sorride soddisfatto, evidentemente convinto di aver fatto un buon lavoro. Alzo lo sguardo: mi ha lasciato i capelli abbastanza lunghi sul davanti e li ha tagliati corti sulla nuca, dandomi un aspetto un po' da college americano.
- Non potreste farmeli più corti davanti? - azzardo - Vorrei un taglio più qualunque, diciamo da bravo ragazzo.
Si irrigidisce un po’ e si ritrae, assumendo un’espressione quasi offesa.
- Signo’, questo non me lo potete chiedere. Ho un’etica professionale, vi ho fatto un taglio da artista che vi sta benissimo: ora non potete chiedermi di rovinare il mio lavoro. Se volete un taglio qualunque, rivolgetevi a un parrucchiere qualunque.
Gli sorrido nello specchio, cercando di rabbonirlo.
- No no, il taglio è splendido: voi siete stato bravissimo. Sono io che vorrei essere un po’ più anonimo.
Si stringe nelle spalle, togliendomi l’asciugamano e scrollando via i capelli rimasti attaccati, mentre il garzone passa la scopa.
- Chi vi capisce è bravo. Comunque, fortunata la vostra fidanzata, se ne avete una.
- Forse - sorrido enigmatico, e mi alzo. Stringo la mano che mi tende e vado alla cassa a pagare.
Come temevo, per strada le ragazze si voltano a guardarmi: non è una buona premessa. Mezz'ora dopo sono a casa e butto lo zainetto sulla sedia dell'ingresso.
- Ciao ma'.
Mia madre, seduta sul divano in salotto a leggere un libro (è un'appassionata divoratrice di gialli), alza lo sguardo e non riesce a trattenere un'esclamazione di sorpresa:
- Stai benissimo, tesoro!
Teresa sbuca dalla cucina, asciugandosi le mani sul grembiule, e conferma il giudizio con un largo sorriso che le dilata ulteriormente il faccione tondo.
Mi chiudo in camera e mi guardo di nuovo allo specchio con attitudine critica, rendendomi conto che il giudizio delle due donne di casa è superficiale come al solito. Non va affatto bene: il contrasto tra i capelli corti e il mio look finto trasandato fa un effetto opposto a quello che speravo, ancora più sexy (sì lo so, non si dice sexy, si dice hot). Devo cambiare radicalmente abbigliamento: via l'orecchino, la collanina e il bracciale con le borchie, via gli scarponi da moto, i blue jeans strappati pieni di scritte fatte con la biro dalle mie compagne, il giubbotto di pelle nero, la maglietta bianca aderente. Frugo nell'armadio alla ricerca di qualcosa di anonimo e bon ton: mocassini british, pantaloni di velluto a coste, maglietta blu girocollo. Li indosso e mi specchio: finalmente, constato soddisfatto, ho assunto l'aspetto rassicurante di un bravo ragazzo borghese, una maschera più adeguata al momento che sto vivendo.
Salto di nuovo in sella al motorino e raggiungo il solito fienile: dobbiamo vederci lì alle cinque. Sono emozionato, ho una cosa molto importante da dirle: la capirà al primo sguardo, è implicita nel mio cambiamento fisico.
Accendo lo stereo su un brano a caso: sulle note della cover di Superstar dei Sonic Youth si staglia nella mia mente l'immagine di un dio greco in smoking che sussurra ad occhi chiusi il suo malinconico addio a Karen Carpenter, seguita da Tunic, anch’essa dedicata a lei; metto il nastro in loop e mi sdraio nel fieno con le braccia dietro la nuca, immaginando più e più volte la scena del nostro prossimo incontro, pregustando la sua espressione meravigliata e la studiata noncuranza con cui l'accoglierò; mi perdo in una fantasticheria dolcissima, tanto da non accorgermi che le cinque sono arrivate, poi sono passate da un pezzo, poi da un'ora.
All'improvviso, durante il momento noise di Tunic, un alito di ghiaccio mi fa rabbrividire. Sento freddo. Mi riscuoto di soprassalto e guardo l'ora: le sei e dieci. Balzo in piedi barcollando come uno risvegliato da una narcosi, scendo in quattro balzi i gradini della scala a pioli, salto sul motorino e ripercorro a rotta di collo la strada di casa, dandomi dell'idiota per ogni minuto perso e cercando di non cogliere la tragica ironia di quella scelta musicale, di non ascoltare la campana a martello che mi rintocca nella testa.
Mi precipito in salotto e resto fermo sulla soglia con il fiato sospeso: mio fratello è seduto sul divano di fronte a mia madre; Teresa gli sta accanto in piedi, intenta a versargli del tè bollente. Lui gira lo zucchero nella tazzina per un lasso di tempo esasperante, con lo sguardo fisso sulla teiera come se si aspettasse da lei una risposta esistenziale. Mia madre gli appoggia affettuosamente una mano sull'avambraccio, senza dire nulla. Io resto immobile sulla soglia, pietrificato. Il mio cuore ha sospeso i battiti.
Improvvisamente Michele si accorge di me: si alza, mi viene incontro e mi circonda le spalle con un braccio.
- Ciao, fratellino. Stai bene vestito così e con i capelli corti.
- Grazie. Ma che succede?
- Brutte notizie.
Azzardo un sorriso di circostanza, mi esce fuori una specie di smorfia. Mi fa sedere sul divano, per fortuna, e si siede accanto a me.
- Antonia è stata ricoverata d'urgenza. La stanno operando proprio in questo momento.
Poi si mette a spiegarmi di cosa si tratta, qualche casino di natura ginecologica con un nome che comincia per endo, entra nei dettagli tecnici, spiega quando e come si è sentita male, senza che io percepisca il senso di nessuna delle sue parole. Ho il cervello in pappa, sono completamente assordato dal frastuono del mio sangue. Rimango immobile per qualche minuto accanto a mio fratello, facendo finta di ascoltarlo con attenzione e annuendo con aria assorta. Poi, attento a non superare i limiti emotivi previsti per un adolescente alle prese con i malanni della futura cognata, gli appoggio una pacca sulla spalla, pronuncio le solite frasi di circostanza tipo non preoccuparti, i dottori sanno il fatto loro eccetera, e mi alzo per uscire.
Nell'ingresso incontro lo sguardo di Teresa, c'è dentro il mio stesso terrore. Mi avvio all'uscita. Mi volto con apparente naturalezza e dico a mia madre di non aspettarmi per cena perché sono invitato da un certo Matteo. Improvvisamente lei si ricorda di una cosa:
- Ah, a proposito: ti ha cercato Michelle.
- Se richiama non ci sono. Non ci sono mai per lei.
- Sei impazzito? Cosa ti ha fatto quella povera ragazza per trattarla così?
Taglio corto e cambio interlocutrice, in modo da colpire mia madre di sponda.
- Teresa, se dovesse richiamare, può dirle da parte mia di andare a impiccarsi?
- Sarà fatto, signorino.
Mia madre, allibita, inizia a protestare, ma non ho tempo da perdere ad ascoltarla. Mio fratello mi fissa: forse capisce anche troppo, sto lasciando trapelare un nervosismo quasi isterico. Mi sforzo stoicamente di sorridergli, pronunciando la più classica delle banalità:
- Andrà tutto bene.
Poi esco di casa con un saluto sportivo, controllando l'andatura. Cammino a passo spedito ma tranquillo fino al cancello del viale: vedo che Michele mi segue con lo sguardo come se mi tenesse d'occhio.
Appena fuori del cancello e della sua vista, inizio a correre a perdifiato. Raggiungo il motorino, guido ad occhi sbarrati fino al vecchio fienile, salgo fra le nostre cose e mi butto a braccia aperte su un mucchio di paglia secca, graffiandomi la faccia per distrarmi con un altro dolore. C'è una sciarpa di Antonia in un angolo, la raccolgo e me la avvolgo intorno al viso per immergermi nell’odore della sua pelle, un odore leggermente agrumato che adoro. Sono così paralizzato dal terrore che non riesco neppure a piangere; il cuore mi martella dolorosamente, facendomi quasi sobbalzare sul pavimento di legno.
Io non so se c'è un Dio, ma se c'è non capisco perché debba andare a rinchiudersi nelle chiese. Sono sicuro che può ascoltarmi anche in un fienile. Gli parlo a lungo, elencandogli i miei sacrifici, chiedendogli perdono di tutti i miei peccati, pregandolo di non ripetere lo stesso vile tradimento di quella volta del nonno e del mio cane, supplicandolo senza pudore, ricattandolo senza ritegno con promesse di ogni genere.
Perché mai, mai, neppure nei miei incubi più atroci, mai mi aveva sfiorato il pensiero che Antonia potesse morire.