Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
E' disponibile su Amazon l'intero romanzo di Emmanuel:
Sono inoltre disponibili su Audible, sotto forma di audiolibro, la prima e la seconda parte del romanzo di Emmanuel:
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte I (Il vento dentro)
Emmanuel - Il diario interrotto - Parte II (La metafora perfetta)
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Il romanzo è tratto da un diario autentico, scritto da un adolescente di cui si sono perse le tracce anni fa, che chiameremo per convenzione Emmanuel; il libro è ambientato nei primi anni '90. Emmanuel è un adolescente irrequieto, incapace di accontentarsi del molto che possiede e con una personalità borderline che lo porterà a fare esperienze intense e disordinate, alla ricerca di un "senso". In questa sua ricerca travolgerà diversi personaggi, tra cui Antonia, la fidanzata del fratello Michele.
Gli interpreti sono due bravi attori-doppiatori, Elisa Gandolfi e Paolo Malgioglio.
Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season
4.21. Certe strane alleanze (Arianna e Antonia si alleano alle spalle di Emmanuel)
Siamo giunti all'ultimo episodio della quarta stagione.
In questa scena accade quello che non ci saremmo mai aspettati: Arianna va a trovare Antonia a Torino e stringe con lei un patto di alleanza alle spalle di Emmanuel.
Le due donne decidono, di comune accordo, di tagliarlo completamente fuori dalla notizia della sua imminente paternità.
L'interprete è Elisa Gandolfi con Paolo Malgioglio.
La colonna sonora comprende brani tratti dalla "Traviata" di Giuseppe Verdi (fra cui uno cantato da Maria Callas).
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We have reached the last episode of the fourth season.
In this scene something happens that we would never have expected: Arianna goes to visit Antonia in Turin and makes an alliance with her behind Emmanuel's back.
The two women decide, by mutual agreement, to completely cut him off from the news of his imminent paternity.
The interpreter is Elisa Gandolfi with Paolo Malgioglio.
The soundtrack includes songs from Giuseppe Verdi's "Traviata" (including one sung by Maria Callas).
Certe strane alleanze
Si siede in punta alla sedia, appoggiando sulla credenza la borsetta di Gucci color champagne. Mi accorgo che il ripiano è mal pulito, c’è un po’ di polvere. Gira lo sguardo all'intorno con l'aria di pensare che sì, forse si può vivere anche così, con le tendine a quadretti orlate di pizzo ai vetri delle finestre e l'incerata di plastica a fiori sul tavolo di cucina.
- Posso offrirle qualcosa?
Accetta un caffè. Mentre lo preparo continua a fissare le mie calze smagliate.
- Posso darti del tu? - le dico porgendole lo zucchero.
- Come preferisce. - risponde - Io però non sono abituata a dare del tu a persone più grandi di me; la prego di scusarmi, non è nulla di personale: è proprio che non ci riesco.
Le rispondo con un cenno affermativo. Non la aiuto a trovare l'ispirazione e lascio che beva il caffè. Mette troppo zucchero.
- Lei immaginerà - dice, posando la tazzina - il motivo per cui sono qui. Mi dispiace disturbarla, e se non lo ritenessi più che necessario...
Interrompo i preamboli con un gesto della mano come a dire sei scusata.
- Del resto, se sarà possibile venirci reciprocamente incontro, il disturbo si ridurrà allo stretto indispensabile.
- Ti ascolto.
- Lei sa a cosa mi riferisco.
- Da chi l’hai saputo?
- Amici comuni: le voci corrono. Ma non devono correre troppo, lei mi capisce; non fino in Toscana, quanto meno.
Annuisco.
- Perdoni se glielo chiedo a bruciapelo: è sicura che sia di Emmanuel?
- Ne sono assolutamente certa.
- Lo immaginavo. Del resto era l’unica ipotesi che stesse in piedi in mezzo alla marea di scemenze che ho ascoltato sulla vostra separazione.
- Da chi lei hai ascoltate?
- Gliel'ho detto, le voci corrono. Amici di amici: i miei sono amici di vecchia data dei Kellermann e così via, di voce in voce.
Previene la mia domanda, leggendola nei miei occhi.
- No, non si preoccupi: Emmanuel non ne sa niente. Per tornare alle ipotesi sulla separazione, la gente è stupida e crede a delle sciocchezze, ma uno come Michele, per quel poco che ho capito dalle parole di Emmanuel, non avrebbe mai lasciato sua moglie se aspettasse un figlio da lui.
- Sono io che l’ho lasciato: Michele sarebbe stato disposto a farsi carico del figlio di suo fratello.
- Mi scusi, non volevo essere offensiva.
- Nessun problema. Del resto ci vediamo ancora, siamo rimasti in ottimi rapporti.
- Sono cose che non mi riguardano. L’unica cosa che ho bisogno di sapere è questa: lei ha intenzione di coinvolgere Emmanuel in questa faccenda?
"Questa faccenda" non è esattamente il termine più adatto per definire la sua paternità. Le rivolgo uno sguardo fermo e severo:
- No, non ho nessuna intenzione di coinvolgerlo.
Sospira di sollievo:
- Meno male. Temevo il contrario.
Mi volto ad accarezzare il gatto Gino, che inarca la schiena e solleva la coda.
- Strano che tu ti sia fatta questa idea: è lui che parla così male di me?
- No, lui non parla mai del suo passato.
Il suo passato, cioè me.
- Lui non sa niente ed è bene che rimanga all'oscuro di tutto: si agiterebbe per nulla. Quanto al bambino, sarebbe assurdo e crudele comunicargli la notizia: non è pronto per fare il padre.
Sorrido.
- No, decisamente non lo è.
- Però è un ragazzo di buon carattere: se sapesse come stanno le cose, probabilmente scatterebbe in lui un malinteso senso del dovere. Ebbene, questo non deve succedere.
Annuisco di nuovo. Prosegue:
- Mi rendo conto che lei si trova in una situazione molto delicata, ma lei a sua volta si renderà conto che sarebbe disumano metterlo di fronte a una scelta così difficile: vorrebbe dire costringerlo ad assumersi responsabilità alle quali è del tutto impreparato oppure a torturarsi nel rimorso. La prego di non rovinare la sua vita più di quanto abbia già fatto, involontariamente s'intende. Davvero, la scongiuro.
C'è qualche giro di frase scontato nel suo discorsetto, ma nel complesso è ben congegnato e il tono di voce con cui è stato pronunciato è abbastanza toccante. È strano pensare che sarà lei il futuro di Emmanuel, immaginarli scambiarsi il bacio del mattino di fronte alla tavola apparecchiata per la colazione, con due bambini biondi accanto e lo sfondo di un prato all'inglese alle spalle. Dal sesso a ritmo di musica in un fienile psichedelico alla ripetizione di rituali e convenzioni quotidiane: ma quanto dev'essere cambiato il mio ragazzo? Arianna è la materializzazione dell’incubo di Emmanuel, il mulino bianco. Forse è questo il prezzo da pagare per la salvezza, seppure a salvarsi sia un altro, qualcuno che ormai non sei più tu. Ma in questo momento mi sembra un miracolo già solo il fatto che di Emmanuel si sia salvato l'adorabile involucro esteriore.
- Puoi stare tranquilla. - le dico - Come ti ripeto, non ho nessuna intenzione di coinvolgerlo in questa storia. Non saprà nulla del bambino. Se anche un giorno venisse a sapere che ho un figlio, gli diremo che l’ho avuto da uno sconosciuto.
Sospira profondamente e per la prima volta sorride. Ha un bel sorriso.
- Grazie, davvero.
Si rilassa e si appoggia allo schienale.
- Come sta Emmanuel? - le chiedo.
- Grazie a Dio sta meglio, adesso - risponde, accentuando quell'adesso.
Sorrido a mia volta:
- Sono felice di saperlo.
Mi risuona ancora nella mente la sua disperazione, dimmi almeno perché, perché. Ma cosa dovrei dirti? Se almeno tu non fossi così bello, se almeno non ti desiderassi tanto? Sposami Antonia. Io sposare te bambino, che follia, un lungo tunnel di incestuosa ebbrezza e poi lo schianto inevitabile contro il muro all'uscita. Un calcio in faccia, sulla zattera non c’è posto per due: orribile la scoperta della mia viltà, non aver saputo dare la mia vita per te. Non ero pronta al sacrificio supremo. Adesso sì sono pronta, adesso sì gli direi più forte più forte vai più forte, mi schianterei ridendo nel buio delle sue pupille dilatate. Adesso sì, lo farei. Ma adesso è tardi.
Non dice nulla. La osservo per capire che persona sia la ragazza che raccoglierà la mia eredità.
- Devi volergli molto bene, per essere venuta fin qui - le dico alla fine.
Abbassa per un istante gli occhi azzurri, di un azzurro così diverso da quello degli occhi di Emmanuel, e li rialza fermissimi:
- Molto, sì, anche se lui dice che il mio non è vero amore.
- Davvero dice questo?
- È abituato a un altro tipo di amore; ogni tanto tira in ballo Eros e Philìa, cose del genere. A mio parere gli studi classici non fanno bene ai ragazzi come lui.
- L'ho sempre pensato anch'io.
- Non era lei che gli insegnava quelle cose?
- Sì, su richiesta dei suoi. Da solo non studiava, andava quasi sempre al fiume con Tegame.
- Con chi?
- Il suo cane.
- Aveva un cane? Non me ne ha mai parlato.
- È morto qualche anno fa: per Emmanuel è stato un colpo durissimo, non si è mai ripreso dal senso di colpa.
- Colpa perché?
- In quel periodo lo stava trascurando: l'ha dimenticato in giardino e il cane del vicino lo ha sbranato.
- Capisco.
Mentre pronuncia con aria compunta questa parola mi rendo conto che no, non capisce affatto. Non credo proprio che questa Arianna sia in grado di capire la profondità dei malesseri spirituali del mio ragazzo: di Emmanuel le sfugge l'essenziale.
- Forse - riprende, accantonando l'argomento "cane" - era meglio lasciarlo nella sua ignoranza: se uno sente che non vuole studiare certe cose, probabilmente è perché non deve.
- È quel che credo anch'io, in tutta sincerità. Mi fa piacere che la pensi così: vuol dire che siete fatti l'uno per l'altra.
Sto mentendo spudoratamente, ma non vedo alternative alla menzogna.
- Lo spero tanto.
Mi accorgo che, nonostante tutto, provo sollievo: Emmanuel non è solo, può contare sull'appoggio di questa ragazza forte, coraggiosa, la cui superficialità probabilmente è un vantaggio in questo momento. Ed è anche carina: bei capelli, begli occhi, belle gambe.
La osservo mentre volge lo sguardo sulle modeste suppellettili della mia casa e le leggo chiaramente nei occhi una domanda: com'è potuto succedere che una persona abituata a simili squallori conquistasse l'amore di Emmanuel? Perché non te ne sei rimasta al tuo posto fra le tue miserie quotidiane, piccola arrampicatrice sociale?
Come spiegarti, ragazzina, che l'uomo, non solo voi ricchi ma ogni uomo, ha bisogno di bellezza per vivere, anche quelli che la confondono con il kitsch e si comprano i quadri con il vecchio ubriaco che ride e le bocce di vetro con l'acqua colorata e la neve finta e le torri di Pisa imitazione avorio? Ma io no, io ho saputo cogliere qualcosa che sfugge ai parvenu della bellezza e che sfugge anche a te: la bellezza profonda, quella di fronte alla quale si può solo chinare la testa e dire di sì. Emmanuel inconsciamente sa di essere questo, anche se ne è terrorizzato e non sa che farsene di tutta questa bellezza che non riesce a dominare e di cui perde continuamente il controllo, come un bambino alla guida di una Ferrari; è spaventato di ciò che è, ma sa di esserlo, ed è in questa tremenda contraddizione che si gioca la partita: lui, per essere felice, ha bisogno di sentirsi adorato in ogni centimetro quadrato del suo splendido essere; stacci attenta, ragazzina. Ecco perché proprio io e nessun'altra: perché Emmanuel non ritroverà in nessun'altra quello che io ho visto in lui. Potrà solo cercare di dimenticarsene.
La fisso. Avverte il peso del mio sguardo. Distoglie gli occhi ed io mi domando per quanti secondi ancora sopporterà la mia presenza. Una grossa cimice ronza contro il vetro alla ricerca del pallido sole. Il gatto Gino si è accoccolato davanti al caminetto e finge di dormire, con quella rilassata padronanza della situazione che è tipica dei gatti.
Guarda l'ora sul Cartier sottile ed elegante.
- S’è fatto tardi: bisogna che vada, le ho già rubato fin troppo tempo.
Si alza rassettandosi la gonna, prende la borsetta e mi tende la mano.
- Rimanga seduta.
- Non mi fa bene stare troppo seduta.
Mi alzo per farle strada. Il gatto Gino ci segue e sguscia fuori, infilandosi fra le sterpaglie dei campi.
Sulla soglia le dico:
- Immagino che non ci rivedremo più.
Mi guarda con blando stupore, come a dire è ovvio, ma si esprime in modo più formale:
- Credo che sia meglio evitarlo.
- Allora addio.
- Addio, e grazie.
Si allontana verso la sua Peugeot azzurra, camminando con la leggerezza di un passero. Mentre se ne va mi fa un cenno di saluto dal finestrino, sorridendo in modo impercettibile.
Fa freddo. Richiudo la porta appoggiandovi le spalle.
Crocifiggimi.