Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season

2.20. Maschio Alfa - feat. Morgan e Subsonica (Emmanuel vaga alla ricerca di se stesso)

Antonia Del Monaco Season 2 Episode 20

Emmanuel, come il Guybrush Threepwood di Monkey Island, attraversa le sue avventure per trovare se stesso, l'uomo che vorrebbe essere e non è: un Maschio Alfa. In questo momento ne ha uno al suo fianco, Carlos, con cui non sa bene che tipo di rapporto stabilire. 
Gli interpreti sono Paolo Malgioglio e Elisa Gandolfi. 
Nel corso dell'episodio si possono ascoltare live dei seguenti brani: 
"Morna Nha Santana" di Eugénio Tavares; 
"Come se" dei Subsonica; 
"Discolabirinto" di Subsonica-Morgan; 
"Music's so shily (?)" di un giovanissimo Marco Castoldi (Morgan), all'epoca quindicenne; 
"The Secret of Monkey Island" di Michael Land. 
... 
Emmanuel, like Guybrush Threepwood from Monkey Island, goes through his adventures to find himself, the man he would like to be and isn't: an Alpha Male. At this moment he has one beside him, Carlos, with whom he isn't sure what kind of relationship to establish.
The interpreters are Paolo Malgioglio and Elisa Gandolfi.
During the episode you can listen to the following songs live:
"Morna Nha Santana" by Eugénio Tavares;
"Come se" by Subsonica;
 "Discolabirinto" by Subsonica-Morgan;  
"Music's so shily (?)" by a very young Marco Castoldi (Morgan), fifteen years old at the time;
"The Secret of Monkey Island" by Michael Land.

Maschio Alfa
dove il nostro eroe
accusa Platone di averlo tradito.

Carlos è un uomo di parola, un uomo vero: non ha più fatto cenno a quella sera.
Siamo rimasti buoni amici.
No, non è una frase fatta: è la pura verità. Da circa una settimana ci vediamo quasi
tutte le sere e passiamo il tempo ai Murazzi come ai tempi di Antonio, parlando del
più e del meno, anche se non abbiamo molti argomenti in comune; alla peggio
stiamo zitti. Suona la chitarra anche lui, ma nel repertorio italiano, in cui si produce
spesso pensando di farmi un piacere, non va più in là di Vasco e Battisti; al massimo
De Andrè. Alla terza Marinella comincio a dar segni di cedimento e all'altezza di
Albachiara mi viene voglia di suicidarmi; so che lo fa per me, ma non si rende conto
che i miei gusti musicali spaziano in orizzonti decisamente più ampi ed
internazionali. Lo seguo più volentieri quando mi suona qualche morna del suo
paese, una specie di blues tipico di Capoverde: non esattamente il mio genere, ma
se non altro interessante a livello folklorico. Trovo curioso che nella sua lingua la
chitarra si chiami violão, mentre il violino si chiama rabeca. La sua cantante
preferita è Cesária Évora, ma il suo idolo è Eugénio Tavares, il poeta romantico che
ha influenzato la musica dell'isola Brava (Carlos è originario di Nova Sintra, il
capoluogo dell'isola): qui la morna si suona con un tempo lento e struggente e i
testi parlano soprattutto d'amore. Comunque, per quanto io mi sforzi di apprezzare
questo genere (la Morna De Despidida per esempio non mi dispiace), i gusti
musicali di Carlos non fanno che confermarmi la distanza siderale che esiste fra
noi. Da un altro non lo sopporterei, è anche da questo che capisco che gli voglio
bene: in questa fase della mia vita mi sentirei solo al mondo se non ci fosse lui.
Devo ammettere che qualcosa in lui ha incominciato a piacermi. La sua è una fisicità
maschia, ma non volgare: non potrei tollerare la compagnia di una persona volgare.
Non so esattamente da cosa dipenda questa assenza di volgarità: forse dal suo
portamento (cammina come se avesse una corona d'oro in testa e un mantello
rosso che gli pende dalle spalle, con lo strascico retto da due paggi immaginari) o
forse dall'espressione imbronciata, che lo fa apparire riservato e scontroso. È come
se sul suo corpo muscoloso, così desiderabile per le donne, ci fosse appeso un
cartello con la scritta "non toccare". O forse dalla luce dei suoi occhi, triste e magica;
come spesso i capoverdiani, Carlos ha gli occhi chiari ma non azzurri, di un colore
appena un po' più chiaro di quello della sua pelle. Solo nei gatti mi è capitato di
vedere occhi simili. Forse Carlos è bello, non saprei dirlo: è un tipo di bellezza che
mi sfugge. In ogni caso è un maschio alfa, su questo non ci sono dubbi.
Di recente ho cercato su un'enciclopedia la definizione di questo tipo di soggetto,
che mi ha sempre incuriosito perché io appartengo ad una tipologia maschile
completamente diversa: "nel regno animale il maschio alfa è quell'esemplare che
si distingue nettamente nel branco, imponendosi sugli altri non con la forza, ma per
caratteristiche caratteriali che gli sono proprie". Nella specie umana si tratta di un
soggetto sempre molto diretto, che sa il fatto suo, infonde una sensazione di
sicurezza, è dominante ma senza mai essere aggressivo. Non gli interessa piacere,
non scende a compromessi: sa che, alla fine, potrà ottenere esattamente quello che
vuole, il che non necessariamente coincide con il successo. Nel caso di mio fratello,
altro esemplare di maschio alfa, il successo nel lavoro e il prestigio sociale sono una
naturale conseguenza del suo status socio-economico, anche se non saprei dire fino
a che punto la sua dominanza si estenda all'universo femminile (l'infedeltà di
Antonia ne è la miglior prova). Nel caso di Carlos, che, pur essendo un principe nella
sua isoletta, occupa una posizione infima nella scala sociale del mondo occidentale
in cui si è trasferito, il successo non ha alcuna importanza: se ne avesse,
accetterebbe di farsi ingaggiare come spogliarellista nei locali per tardone
arrapate, ma, come ho già detto, questa idea lo disgusta. Essere un maschio alfa può
anche significare scegliere una dignitosa solitudine. Ho un istintivo rispetto per
questo tipo di uomo, forse perché non sono mai stato capace di essere così.
Carlos ha una vera passione per la birra, di cui è un grande intenditore. Mi ha
spiegato con un certo sussiego che non è un amante del Grogue, il rum di canna da
zucchero tipico di Capoverde: la considera roba per alcolisti, un intruglio che ha
rovinato troppa gente a Santo Antão e in altre isole; ed ha aggiunto che, sebbene
non gli dispiaccia la birra Coral tipica del suo paese, non la trova abbastanza
aromatica per i suoi gusti. Almeno da questo punto di vista è decisamente
cosmopolita.
A forza di seguirlo in giro per i pub mi sono fatto una cultura: bitter ale, strong ale
(la mitica Bulldog), stout, dortmunder, rauchbier (rarissima birra affumicata),
barley wine, bock e doppelbock, eisbock, lambic, la kellerbier non filtrata e a bassa
fermentazione, le favolose birre trappiste; e poi la weissbier, birra di grano: Carlos
dice che è la migliore per uno come me che non regge l'alcool.
Quando mi vede sbronzo mi prende per un braccio e mi porta a fare la nanna, come
dice lui. Si esprime come se fossi un minorato mentale, e probabilmente non ha
torto: in effetti quando sono brillo dico idiozie, faccio scherzi da deficiente e rido a
crepapelle. Qualche sera fa, mentre parlavamo, senza nessun motivo ho rovesciato
un boccale di birra sui rasta di Carlos, e la sua faccia interdetta, con gli occhi color
rame fissi su di me come quelli di una statua, mi è sembrata così comica che sono
quasi morto dal ridere; lui si è asciugato lentamente con il tovagliolo senza dire
niente, poi mi ha afferrato per la collottola come un gatto stupido e mi ha portato
fuori, lasciandomi cadere di peso sul sedile della macchina. Gli ho chiesto scusa, ma
poi, mentre guidava, mi sono chinato sotto il volante e gli ho annodato insieme i
lacci delle scarpe. Ha detto oh, ma sei proprio scemo stasera, ma non ha reagito. Mi
sono addormentato sulle sue ginocchia, continuando a ridacchiare al pensiero di
lui che si alzava e cadeva per terra lungo e disteso. Decisamente l'alcool, a
differenza della droga, tira fuori il lato più surreale di me, una specie di folletto
Puck: peccato non poter essere sempre sbronzi. Verso mezzanotte si è fermato
davanti a casa mia e mi ha salutato; siccome esitavo, si è allungato ad aprirmi la
portiera e mi ha guardato come a dire scendi, che aspetti. L'ho voluto io, meglio
così.
Stasera siamo seduti ad un tavolo al Doctor Sax, dove ho molti ricordi e quasi
nessuno bello: quei pochi sono legati, nonostante tutto, ad Antonio. Spero di non
incontrarlo, specie in compagnia di Elettra: sarebbe imbarazzante. C'è un gruppo
nuovo che suona, siamo venuti apposta per sentirlo; sono bravi, ma per qualche
strana ragione la loro musica non mi eccita, anzi mi butta sempre più giù. La
malinconia mi assale.
Sorseggio una weiss francescana mentre Carlos beve una lambic framboise
dall'etichetta rosso sangue con un nome inquietante: Mort Subite. Indossa dei
pantaloni di tela militare e una t-shirt verde scuro a maniche lunghe che gli
nasconde i muscoli. Lo trovo diverso dal solito, diverso in tutti i sensi: è serio e
compassato, non mi degna di uno sguardo. Carlos funziona su di me come un
antidepressivo e la sua indifferenza mi comunica una certa inquietudine. Mi
domando cosa ci sia che non va in me stasera.
- Non ti riconosco più - mi dice a un tratto tracannando un sorso di Mort, manco mi
avesse letto nel pensiero.
Mi guardo nello specchio sulla parete del bar: maglietta azzurra, jeans scoloriti,
scarpe da ginnastica rotte, i capelli tirati indietro in una coda di cavallo, gli occhi
sbattuti di chi dorme troppo poco. Oggettivamente figo, nonostante tutto.
- Perché? - gli chiedo.
Non risponde. Insisto:
- Perché non ti faccio scherzi cretini?
- No, quelli li fai solo da ubriaco.
- E allora perché?
- Perché una volta non ti saresti tenuto.
- Tenuto da cosa?
- Dal ballare, no?
- Non siamo in discoteca. E comunque non ho nessuna intenzione di ballare.
Di nuovo non risponde. Di nuovo insisto:
- Scusa, ma perché vorresti che ballassi?
- Così. Sei bello da vedere.
- Ti diverte che i froci mi mettano le mani addosso?
- Tranquillo, hai la tua guardia del corpo.
- Non è questo il punto.
- E qual è il punto?
Sono molto irritato. Sto per chiarirgli brutalmente qual è il punto, quando due
ragazze, una rossa e una bruna, si avvicinano a noi. Per quanto cerchiamo di
passare inosservati, siamo una coppia troppo particolare. Odio essere interrotto
quando parlo con qualcuno e in questo momento non sono disposto a sopportarlo.
- Hai da accendere? - gli chiede la rossa sedendosi sul tavolo. Carlos le accende la
sigaretta e la ragazza aspira qualche boccata; lui allontana il fumo con una mano,
infastidito. Intanto la bruna si è seduta fra me e lui; vedo i suoi pantaloni di pelle
aderentissimi, sento il suo profumo oppiato, nauseante.
- Come ti chiami? - mi chiede. La guardo, è carina, una dark con tendenze emo.
Abbasso gli occhi.
- Michele.
- Io Cristina. Sei figo, Michele.
- Caschi male, Cristina, sono gay.
La ragazza mi fissa stranita.
- E di quelli passivi - aggiungo.
Carlos scoppia a ridere. La ragazza si rivolge a lui:
- È il tuo ragazzo?
- No, dai. A me piacciono le donne.
- Meno male.
È una metallara dal cuore tenero. Mi guarda e dice:
- Ti va se ne parliamo un po'?
Ma perché le donne sanno essere così stupide? La guardo e sorrido:
- Non ci siamo capiti: sono frocio e felice di esserlo, assolutamente irrecuperabile.
Finalmente, per quanto dura di comprendonio, si arrende e mi lascia perdere. La
rossa batte il tempo sul tavolo con le unghie lunghe laccate di nero. Dopo un po'
dice a Carlos:
- Figata, eh?
- Sì, son bravi.
- Questi fanno il botto, vedrai.
- Se lo dici tu.
- Non prendermi per il culo: per una volta che c'è un gruppo cittadino decente. Cioè,
anche più che decente.
Cristina interviene:
- Ma mica sono di Torino i Bluvertigo. Sono di Milano.
- Cazzo dici? Questi sono i Subsonica. I Bluvertigo erano quelli dell'Hiroshima, un
mese fa. E poi sono di Monza, non di Milano.
- Marlon è un figo da paura.
- Oh ma non ne becchi una stasera: Morgan, non Marlon.
- Comunque ti sbagli, non son mica loro: il tastierista è quello degli Amici di Roland.
- Non dir cazzate, su.
- Anche il cantante, se è per questo.
- No guarda, son sicura: rileggiti il programma.
La dotta disquisizione musicale ha termine. Sto esaurendo la pazienza, ma non c'è
verso di levarsele dai piedi, anche perché Carlos non mi aiuta. Evidentemente non
gliene importa niente di sapere cos'avevo da dirgli, e questo aumenta
esponenzialmente la mia irritazione. La rossa si rivolge a lui con il garbo che la
contraddistingue.
- Mi sta venendo il culo piatto, posso?
Senza attendere la risposta scende dal tavolo e si siede sulle sue ginocchia. Lui tiene
le mani a posto, ma non sembra indifferente; di sicuro lei sente qualcosa
d'interessante attraverso i pantaloni, perché ad un certo punto si volta a guardarlo
con stupore e ammirazione. La bruna incomincia a sua volta a stargli appiccicata.
Lui le lascia fare. Ad un certo punto mi rivolge uno sguardo d'intesa: è evidente
come finirà questa serata, ed è altrettanto evidente che una delle due toccherà a
me. Perciò, a scanso di equivoci, mi alzo, vado a pagare il conto per tutti e due ed
esco.
Torino è bella stasera: l'aria è fresca, piacevole, la notte stellata, si vede brillare
l'Orsa Maggiore sopra l'Eremo, si sente il Po scorrere tranquillo. Passeggio sotto i
portici di piazza Vittorio con le mani in tasca prendendo a calci una lattina, il solo
indizio del mio stato d'animo. Però ogni cosa è al suo posto, la mia città mi respira
in faccia, mi fa sentire pulito e bene accetto in questo scherzo demenziale che è la
vita, e io fingo di credere che sia tutto perfetto. All'improvviso un tossico mi
abborda e mi chiede diecimila lire: lo mando affanculo, insiste, mi mette le mani
addosso. Qualcuno sbuca alle mie spalle e lo allontana con uno spintone: è Carlos.
Il tossico se ne va bestemmiando.
Non lo ringrazio, non gli rivolgo neppure la parola: ricomincio a passeggiare
allungando il passo. Voglio salire verso l'Eremo, la forza di attrazione di Michelle è
ancora forte.
Mi segue, anzi mi insegue, ansimando un po' per l'ansia.
- Ma sei scemo? Te ne vai così senza dir niente?
Non rispondo. Mi afferra per una spalla e mi blocca: strattono per liberarmi senza
guardarlo. Mi stanno salendo le lacrime agli occhi, non voglio che le veda.
- Oh, ma si può sapere cos'hai?
- Niente, lasciami.
- Dai, su, che c'è?
- C'è che non ho bisogno di altra merda. Mangiala, se ti va, ma senza di me.
Ricomincio a camminare a passi rapidi con lo sguardo fisso sulla Gran Madre
spettacolarmente illuminata; intravedo le arcate del ponte Vittorio Emanuele che
si riflettono nell'acqua nera del Po, simili a grandi anelli d'oro; sullo sfondo emerge
dal buio la sagoma azzurra e misteriosa del Monte dei Cappuccini. Non capirò mai
perché proprio Torino.
Carlos si ferma un attimo a riflettere e poi mi raggiunge di corsa.
- Hai ragione, scusa. Dai, fermati, ti porto a casa.
C'incamminiamo verso la macchina.
Durante il viaggio non pronuncio una sola parola: sono di umore nero. Poi
all'improvviso, mentre ci stiamo avvicinando alla mia villa, dico:
- Voglio vedere le stelle cadenti.
È una richiesta oggettivamente idiota e non è neppure il periodo giusto, ma Carlos
non solleva obiezioni: inverte la marcia, attraversa il ponte Isabella e mi porta al
Colle della Maddalena percorrendo la Strada dei Morti. Sono troppo depresso per
cogliere l'ironia inconsapevole di quella scelta. Ferma la macchina in una piazzuola
al Parco della Rimembranza. Ci stendiamo a naso in su in un prato non troppo
pulito e ci mettiamo in attesa. Non cade nessuna stella, l'Orsa Maggiore è sempre
al suo posto, saldamente incastonata nel cielo.
Carlos rompe il silenzio con una frase d'atmosfera:
- Cazzo, una pantegana.
- Dove?
- Niente, se n'è andata.
È una serata piena di grilli; la brezza notturna è pungente.
- Ho mal di stomaco.
- Lo sapevo, ti sei preso un colpo di freddo. Eri sudato.
- Può darsi.
- Ho un panu di tera in macchina.
- Un che?
- Una coperta.
Si alza, va a prendere la coperta, me la porta e mi ci avvolge dentro. Arrotolato in
un bozzolo di benessere, mi sento di nuovo a casa, al sicuro.
- Eccola là! - esclama Carlos, indicando una scia luminosa che attraversa
diagonalmente il cielo.
Sorrido, quasi incredulo:
- Una stella cadente.
- Devi esprimere un desiderio.
- Anche tu.
- Allora esprimiamolo tutti e due.
Mi mette un braccio intorno alle spalle e mi stringe a sé, continuando a fissare il
cielo. Sento l'odore pungente della sua pelle, simile a quello di certi grossi felini: un
odore che sulle donne ha un effetto eccitante, mentre su di me produce un
indefinibile disorientamento, una sorta di narcosi. È tutto terribilmente strano.
- Che sta succedendo? - chiedo allarmato.
- Non lo so e non me ne frega niente.
- Ma deve fregartene.
- Perché?
- Perché non è normale, cazzo.
- Sì che è normale. Tu hai freddo, io ti scaldo: tutto qui.
- No, non è tutto qui.
- Sei libero di andartene quando vuoi. Rilassati.
Ha ragione, nessuno mi trattiene. Mi rilasso. Ma appena abbasso la guardia,
com'era prevedibile, mi viene da piangere.
- Che c'è?
- Fanculo Platone.
- Eh?
- Mi ha tradito. Il bello non è il bene, la bellezza non salva. La forma è una strategia
della materia, le serve per conservare se stessa. Non gliene importa nulla di noi. La
bellezza non serve a nient'altro.
- Non ci ho capito niente.
- Per forza, l'ho spiegato alla cazzo. In sostanza, Carlos, la bellezza è una fregatura.
Quando invecchierò sarò solo come un cane, non mi cercherà più nessuno.
- Perché dici così?
- Perché lo so. Io non sono come te: la mia è una bellezza fragile, di quelle che non
resistono al tempo.
- Vuoi dire che mi trovi bello?
- Sì, almeno credo, ma la tua è una bellezza virile. Gli uomini come te invecchiano
rimanendo interessanti. Invece quelli come me, biondi o rossi con la pelle chiara e
i lineamenti poco virili, a sessant'anni rischiano di assomigliare a delle vecchie
lesbiche. È terribile, la sola idea mi terrorizza: è una fortuna che alcuni dei ragazzi
più belli del rock siano morti giovani, erano troppo adolescenti per poter
invecchiare. L'adolescenza è una condizione esistenziale, non uno stadio della vita:
se non coincide con l'età anagrafica, il disastro è assicurato.
- Che c'entra il rock?
- È troppo lungo da spiegare. Mi domando cosa ne sarà di quelli di loro che sono
ancora vivi e bellissimi.
- Comunque, principe, se una donna ti cerca solo perché sei sexy vuol dire che non
ha capito niente di te.
- Non si dice sexy, si dice hot.
- Oh, ma chi te l'ha messa in testa 'sta cazzata?
- La bellezza ce l'hanno i giovani, i vecchi fanno i soldi per comprarsi i giovani: è il
fottuto compendio della nostra civiltà.
- Ci sono anche le persone che ci vogliono bene.
- Balle. Ci siamo inventati l'amicizia, l'amore e gli ideali solo per non tagliarci le
vene. Non c'è nessun cavallo bianco, o se c'è è in coma.
- Quando spari 'ste cazzate non ti seguo proprio.
- Non sono cazzate.
- Ma quali cavalli? Quali vene? Senti, ascolta quel che ti dico: se domani sparisce
tutto e al mondo non resta nient'altro che del cemento e un piccone, sai cosa faccio
io?
- No, che fai?
- Io piccono il cemento. Col cazzo che mi taglio le vene.
- Grande. Ti ammiro.
- Mi prendi per il culo?
- No, dico sul serio: vorrei essere come te.
- Io una persona che mi vuole bene davvero ce l'ho.
- Sì, lo so, Mayra.
- E anche tu ce l'hai, principe.
Il mio paradigma filosofico subisce un imprevisto capovolgimento, in bilico fra
Epicuro e Schopenhauer: una posizione decisamente scomoda. Restiamo immersi
a lungo in un piacere perfettamente catastematico.
Dopo un po' mi dice:
- Io non lo so cosa farai nella vita, principe. Ho paura per te, ti piace troppo cacciarti
nei guai. Ricordati una cosa però: io per te ci sarò sempre; basta che mi fai un fischio
e ti raggiungo anche in capo al mondo. Pure se fossi a Nova Sintra, salto su un aereo
e in poche ore sono da te.
Quelle parole mi scendono nello stomaco come un Grogue di Natale fatto di rum
scuro con succo di lime e una stecca di cannella, e con lo stesso effetto: mi ubriacano
all'istante. 
Appoggio la fronte contro il suo petto, ascolto il battito pesante del suo cuore. Alzo
la testa verso di lui, entro nel ventre di una primordiale innocenza, il cielo si
richiude sopra di me. Una luce rossa pulsa all'orizzonte mentre il sole tramonta fra
i baobab, un fuoco d'artificio esplode nel crepuscolo coagulandosi in un'insegna al
neon, due parole galleggiano scarlatte nel buio simili a un titolo di Edgar Allan Poe:
Mort Subite.
Poi tutto si spegne. Resta il silenzio rotto da suoni animali, sussulti e gemiti, rantoli
di creature in lotta, l'estasi incomunicabile di una notte in Africa. 
Per uno strano cortocircuito mentale mi vedo seduto accanto a
Guybrush Threepwood a Monkey Island, ho sbagliato continente, chissenefrega.