Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season

3.2. Effetti speciali (Emmanuel gioca una partita molto sporca)

Antonia Del Monaco Season 3 Episode 2

Un altro episodio cruciale del romanzo-podcast.
La malattia ha dato a Emmanuel il tempo di chiarirsi a se stesso e lo ha reso lucido e determinato: rivuole Antonia a qualsiasi costo.
Per ottenere il suo scopo è disposto anche a truccare le carte e a recitare una parte melodrammatica che spiazza completamente Antonia. 
E' un ricatto in piena regola, e lui lo sa; ma Amore, come dice Platone,  è figlio di Espediente ed è quindi senza scrupoli: Emmanuel è disposto a tutto pur di far cadere le barriere difensive di Antonia e di riprendersi quel che considera suo da sempre. 
Gli interpreti sono Paolo Malgioglio e Elisa Gandolfi. 
Nel corso dell'episodio, particolarmente ricco di effetti speciali, come da titolo, si possono ascoltare cover o versioni strumentali della colonna sonora di "Arancia Meccanica" di Stanley Kubrick , "Girl you'll be a woman soon" di Neil Diamond, "Polly" dei Nirvana, "It's five o' clock" degli Aphrodite's Child e un brano di "Scimmia" di Eugenio Finardi.
... 
Another crucial episode of the novel-podcast.
The illness has given Emmanuel time to clarify himself and has made him lucid and determined: he wants Antonia back at any cost.
To achieve his goal, he is even willing to rig the cards and play a melodramatic role that completely displaces Antonia.
It's full-blown blackmail, and he knows it; but Love, as Plato says, is the son of Expedient and is therefore unscrupulous: Emmanuel is willing to do anything to bring down Antonia's defensive barriers and take back what he has always considered to be his. 
The interpreters are Paolo Malgioglio and Elisa Gandolfi. 
During the episode, particularly rich in special effects, as the title suggests, you can listen to covers or instrumental versions of the soundtrack of "A Clockwork Orange" by Stanley Kubrick, "Girl you'll be a woman soon" by Neil Diamond, "Polly" by Nirvana, "It's five o' clock" by Aphrodite's Child and an excerpt from "Scimmia" by Eugenio Finardi. 

L'orologio sulla parete di fronte segna le quattro e mezzo: secondo i miei calcoli Antonia dovrebbe arrivare a momenti. 

Il copione prevede che in scena non ci sia nessuno a parte i due protagonisti: perciò ho buttato nel wc le pillole per il fegato e ho mandato Teresa in farmacia a ricomprarle. Sono solo in casa.

Sento cigolare la maniglia della porta d'ingresso. Mi siedo sul letto appoggiandomi contro il cuscino, respiro profondamente e mi preparo alla scena madre. La ripasso da giorni, la conosco a memoria, il mio morale è alto. Sono pronto.

Ciak, si gira.

Entra, mi saluta e si siede sul mio letto con la naturalezza di un'attrice consumata. Mi tocca la fronte e sospira di sollievo:

- Non hai più la febbre.

- Pare di no.

- Presto potrai riprendere la scuola.

- Che gaudio.

- E potrai anche rivedere la tua ragazza. Sei contento?

- Mi ucciderei per la gioia.

- Che significa?

- Che non è più la mia ragazza.

- Perché?

- Ho dei problemi con lei.

- Li supererai, non preoccuparti: tutte le coppie hanno dei problemi, prima o poi.

- I miei sono problemi seri. Davvero non ti sei chiesta quale fosse la causa della mia malattia?

- Cos'avrei dovuto chiedermi? È stata un'epatite.

Finge di essersi dimenticata Tucidide, o forse se l'è dimenticato per davvero. Brutto affare appendere il cappello al chiodo: il suo cervello sta regredendo di giorno in giorno. Sospiro e puntualizzo:

- Pròphasis alethestàte, professoressa. Quella è la malattia, non la causa della malattia.

- Che importanza ha la causa? Ormai sei guarito.

- Temo che ci sia qualche variabile che ti sfugge.

Cerca di accarezzarmi il viso.

- Devi cercare di rimetterti in forze: sei ancora molto pallido.

Fermo la sua mano e la appoggio sulla coperta.

- Antonia, scusami: ce l’ho già una mamma.

- Hai ragione. Mi pare che tu sia un po' sudato.

Mi tocca dappertutto con la sensualità di un cefalopode, fronte capelli spalle braccio mano maglietta pantaloncini, mi tira su perfino le mutande. La fermo:

- Lascia, vanno bene così.

- No, non vanno bene: sono bagnate di sudore sulla schiena, e poi il tessuto è un misto cotone, c'è del sintetico, non va bene a contatto con la tua pelle. Lo sai che sei allergico. Ti prendo i boxer di cotone con i paperi azzurri, dovrebbero essere nel secondo cassetto. 

Cazzo, non così, non così. Lo sceneggiatore è da licenziare in tronco. Fast forward.

Cambio completamente argomento, cercando di spostarmi da quegli imbarazzanti paperi azzurri che nel frattempo lei ha estratto dal cassetto e mi mostra trionfalmente.

- Comunque ci vediamo ancora.

- Chi?

- Io e Michelle. 

- Tirati su, solleva il bacino: ecco, bravo, così. A posto. Dicevi?

- Dicevo che ci vediamo ancora.

- Oh, bene. Allora è una crisi passeggera.

- No. Il fatto è che ci sono delle cosette che continuiamo a fare insieme.

- Non posso darti torto: è molto bella.

- Non quelle cosette, mammina.

- Ma sì, non importa. Qualunque cosa sia, passerà. Va tutto bene, sei solo un po’ stanco.

Il mio assalto sta per rimbalzare di nuovo contro il suo muro di gomma, ma stavolta non mi farò cogliere impreparato: non c'è papero azzurro che tenga. 

Mi svincolo dai suoi tentacoli materni, mi allungo verso lo stereo e metto su un vecchio vinile con la copertina bianca.

- Lo sapevi che la colonna sonora della scena iniziale è di Henry Purcell? Music for the funeral of Queen Mary. Grande film, di quelli che fanno la storia del cinema; ti va se ce lo guardiamo una di queste sere? Come ai vecchi tempi.

Zoom lento, primo piano sugli occhi: mi fissa interdetta. È incredibile l'empatia che ho con Antonia: con lei, e solo con lei, posso comunicare per sottintesi e allusioni. Dev'essere quello che chiamano affinità elettiva. La consapevolezza di stare riuscendo a bucare il suo schermo mi induce a strafare.

- La mia opinione sui verbi è un po’ cambiata, sai? Ho scoperto che la mia diatesi preferita è il riflessivo.

La battuta è oggettivamente pessima. La tensione nervosa sta per giocarmi un brutto scherzo: mi trattengo a stento dallo scoppiare a ridere al pensiero della prossima battuta, ancora più stupida:

- “Farsi” non è solo medio d’interesse, vero? Non rispondere, è una domanda retorica.

Non risponde infatti: mi fissa allarmata.

- Non vuoi proprio capire, eh?

- Non capisco cosa dovrei capire - dice secca.

Sospiro:

- E va bene, come vuoi tu: mi costringi a dirtelo chiaramente.

Cerco la concentrazione giusta per un formidabile ace. Le prendo il viso fra le mani e la guardo con tutta l'intensità di cui è capace un ammalato con gli occhi alla Rhys Meyers e un leggero strabismo di Venere. Strattona d'istinto per liberarsi, ma la trattengo e la obbligo a guardarmi negli occhi mentre scandisco queste parole:

- Mi faccio, mammina. 

Pausa studiata.

- E di roba pesante.

Lascio andare il suo viso e ricado contro il cuscino, spossato dalla tensione. È fatta. Il mio cuore ha rallentato i battiti, ma le pulsazioni sono così forti che sento quasi sobbalzare il letto.

Antonia si piega su se stessa con un gemito, le sue spalle si sollevano in un respiro affannoso.

- Perché me l’hai detto? - sussurra pianissimo. 

- Cosa? Parla più forte, non ti sento.

Ho sentito perfettamente, ma mi piace farglielo ripetere.

- Perché me l'hai detto? - geme.

- Scusa, che domanda sarebbe?

- Perché me l'hai detto? - ripete per la terza volta, con voce incrinata dalla disperazione - Lo sapevi che mi avresti fatta stare malissimo.

Inarco le sopracciglia e rispondo freddamente:

- Quindi, siccome sapevo che ti avrei fatta stare malissimo, non avrei dovuto dirtelo. 

- No - dice cupa - non avresti dovuto dirmelo.

L'indignazione mi rende sarcastico.

- Sì, credo di capire il tuo punto di vista: era meglio andare avanti come se niente fosse. Un giorno mi avreste trovato morto con l'ago in vena e mi avreste fatto un bel funerale. Due lacrimucce, magari un mesetto di lutto, e poi via verso il tuo radioso futuro di borghese altolocata. Non è così, mammina?

Le mie parole e il tono duro della mia voce la risvegliano da quel torpore narcotico come una doccia fredda, suscitando in lei una reazione caotica e furibonda: improvvisamente mi afferra i polsi e mi guarda con l’espressione del killer di Pulp Fiction.

- Io ti ammazzo Emmanuel, - ringhia minacciosa, quasi digrignando i denti - ti ammazzo se vengo a sapere che rivedi ancora quella puttana. 

Stringe di più i miei polsi.

- Ti giuro che se ti fai ancora del male ti ammazzo con queste mie mani.

La teniamo questa scena, Quentin? Non c'è troppa coerenza nella battuta, ma è stata pronunciata con apprezzabile pathos. 

- Mi stai facendo male, - le dico con dolcezza - ti ricordo che sono ancora convalescente.

Più stringe, più sento penetrare in me il suo affetto. Mi sta facendo male perché mi vuole bene: amo questo dolore e quest'adorabile contraddizione. 

Lascia la presa e mi guarda ansante.

- Mi verrà il livido - le dico con calma, sorridendo e massaggiandomi i polsi.

- Scusami - dice smarrita.

Mi assale una tremenda tenerezza, una irresistibile voglia di abbracciarla, ma se voglio arrivare allo scopo devo continuare a giocherellare ancora per un po' con il topo tramortito.

Polly wants a cracker

Maybe she would like some food

She asked me to untie her

A chase would be nice for a few...

- Se te l'ho detto è proprio per non farti preoccupare. - le dico, con la serena convinzione di chi è in preda a una dissonanza cognitiva - Conosco i rischi della dipendenza e non sono così stupido da volerli correre, a differenza di te.

Non raccoglie la cattiveria: è troppo occupata a torcersi le mani in preda alla disperazione.

- Ma perché lo fai, perché?

Il copione prevede a questo punto una serie di cazzate stile tossico di Almodòvar: lo rileggo incredulo (quando mai le avrei scritte queste idiozie?) e pronuncio la prima:

- Perché mi fa stare bene.

Complimenti per l’originalità, una battuta mai sentita. Ma Pedro mi fa segno thumb up, stai andando fortissimo. Antonia non dice niente: mi guarda ansimando, distrutta. Mi arriva un altro suggerimento dalla regia: In un attimo una fitta di dolore un secondo ad aspettare poi un'onda dolce di calore quasi come nell'amore.

No dai, Finardi no. Posso cavarmela da solo. Avanti con la seconda cazzata:

- Comunque posso smettere quando voglio.

Solleva lo sguardo nel mio, sempre più sconvolta:

- Vuoi dire che hai già provato a smettere?

- Sì.

- E ci sei riuscito?

- Certo. Per un po'. Poi vabbè, ho ricominciato, ma non preoccuparti: è tutto sotto controllo.

Mi meraviglio io stesso della naturalezza con cui pronuncio queste scempiaggini: devo essere un grande attore. Antonia continua a respirare a fatica: ha le lacrime agli occhi, soffre come un cane. Sto cominciando a cedere, mi costa non poco sforzo continuare a recitare quella parte odiosa.

- Quante volte è successo? - mi chiede.

Match point.

- Dieci, venti, cento. Non ho buona memoria per certe cose.

Standing ovation. 

Era da molto tempo che tenevo in serbo questa citazione, intenzionato ad usarla per la più perfida delle vendette. Lei la coglie, ma non reagisce alla provocazione: i suoi occhi si spalancano nei miei, pieni di terrore. 

Ora però basta: stop, pausa pranzo, spegnete i riflettori e andatevene tutti fuori dai piedi. 

Non ce la faccio più.

- Antonia.

- Sì?

- Che ore sono?

Mi guarda senza capire:

- Le cinque, perché?

- È l'ora del tè con il Cappellaio Matto.

- Sei impazzito?

- Scherzavo, dai. 

- Ti sembra il momento di scherzare?

- È l'ora giusta per piantarla con le cazzate.

Non risponde: mi guarda disorientata, pensando che io abbia smarrito definitivamente il senno. 

- Perdonami, Antonia - le dico con sincerità - Sto cercando di farcela, credimi, ma da solo non è facile.

Le sue labbra tremano.

- Posso fare qualcosa per te? - sussurra con un filo di voce - Qualsiasi cosa, Emmanuel. Qualsiasi. Farei qualsiasi cosa per te.

Ha tutta l’aria di una resa senza condizioni. Non riesco più a dissimulare la commozione, non riesco più a fingere. Le prendo una mano.

- Sì Antonia, c'è qualcosa che puoi fare per me.

La attiro dolcemente verso di me mentre mi distendo supino. Non oppone resistenza. Pensa che io voglia fare sesso, ma ho voglia di tutt'altro: ho voglia di ridere, ho una voglia tremenda di tornare bambino. La stringo fra le braccia, poi improvvisamente la ribalto, le rotolo addosso, le faccio il solletico sotto le ascelle e la mordicchio sul collo e sulle spalle; ride anche lei fra le lacrime. Per un po' ci ruzzoliamo sul letto come due gatti che lottano per gioco, poi faccio una specie di capanna di coperte e ci nascondiamo lì sotto. Ci guardiamo ansanti, stremati, sorridendo: le accarezzo il viso e la bacio sulla bocca. Le parole rompono gli argini come un torrente in piena, mi escono senza controllo, ti voglio Antonia ti voglio, non voglio sesso voglio te voglio te voglio te, non piangere non è successo niente sto bene, stammi vicino, lei mi sommerge in un mare di tenerezza repressa di cui avverto solo il mio galleggiare in superficie e qualche frase fra le tante che sussurra al mio orecchio, ti prego non farlo più, se ti succede qualcosa muoio Emmanuel, io muoio, faccio qualsiasi cosa per te, faccio tutto quello che vuoi ma non farlo più, promettimelo giuramelo. Continua a pensare che io voglia fare l'amore, le dita le tremano mentre cerca inutilmente di sbottonarsi il golfino, io non so come dirle che non si tratta di questo, ma lei ne ha una voglia pazza e temo di offenderla con un rifiuto, perciò la aiuto e cerco di assecondarla, ma mi accorgo ben presto che qualcosa non va: faccio fatica, molta fatica, la sensazione non cresce, il desiderio non trova sfogo, mi rendo conto che senza la roba non sento più nulla. Sono diventato praticamente impotente. Avvilito, mi arrendo e le dico che non ci riesco, ma lei mi incoraggia e viene sopra di me, sì che ci riesci non preoccuparti devi solo stare tranquillo. Mi rilasso e mi lascio cullare dalla marea che pian piano sale. Finalmente, dopo un lasso di tempo che mi sembra interminabile, provo qualcosa di simile all'eco di un orgasmo, così lontana da essere quasi inavvertibile. Cerco di fingere che sia qualcosa di più intenso, ma lei se ne accorge subito e scoppia a piangere, non so se per la commozione o per la gioia o perché si renda conto di aver fatto l'amore con un cadavere. Ma non è importante, niente è più importante adesso, salvo il fatto che siamo di nuovo insieme e stiamo fluttuando abbracciati nella risacca, galleggiamo nel liquido amniotico, lei emette suoni prenatali, io le ripeto ti amo, non credevo che quelle due parole mi fossero mancate tanto; ad un tratto sussurra al mio orecchio "ti amo anch'io Emmanuel, ti amo con tutta me stessa". Lo sapevo già, l'avevo sempre saputo, ma sentirglielo dire mi dà un'emozione inesprimibile, mi toglie il fiato. Chiudo gli occhi e la cullo dolcemente sul mio petto, mentre il mio cuore, dopo un'esitazione di qualche secondo, riprende a battere con tonfi pesanti.

È come ricominciare a respirare dopo essere stati prigionieri per mesi in uno scantinato buio. Mi sento in uno stato di perfetta, estatica beatitudine, lacrime di gioia e di commozione mi inondano il viso: mentre le accarezzo i capelli parlo con quel Qualcuno che da qualche parte ci sta guardando e sa tutto di noi. Mi senti, Dio? Se esisti, ti prego, fa' che io non sprechi anche questa occasione, fa' che io possa essere all'altezza di questa cosa meravigliosa che mi sta succedendo e di cui ti ringrazio dal profondo dell'anima. Grazie, grazie, grazie.

Perdiamo completamente la nozione del tempo. La riacquistiamo di colpo sentendo i passi di mio fratello nell'ingresso. Antonia esce dalla capanna di coperte, si riveste in fretta, mi saluta con un bacio ed esce.

Mi sento sfinito e mi addormento subito. Per la prima volta dopo molti mesi dormo un sonno regolare e profondo, senza sogni.

La gioia che provo al mio risveglio, il mattino seguente, è così forte che mi spacca quasi il cuore.