Emmanuel - The broken diary - Quinta e ultima stagione - Fifth and Final Season

4.3. Tutti i toni di un addio - Parte II (Michele cerca di trattenere Antonia)

Antonia Del Monaco Season 4 Episode 3

La rottura fra Michele e Antonia è inevitabile, ma l'uomo tenta nonostante tutto di trattenerla e di farla ragionare, cercando nel contempo di calmarsi. Ha luogo così fra di loro un dialogo piuttosto tenero, che però non ha il potere di far cambiare idea alla donna, ormai risoluta ad andarsene.

Gli interpreti sono Elisa Gandolfi e Paolo Malgioglio.

La colonna sonora comprende cover o versioni strumentali di "Porz Goret" (Yann Tiersen) e di "Skyfall" (Adele).

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The breakup between Michele and Antonia is inevitable, but the man nevertheless tries to hold her back and make her think, while at the same time trying to calm down. Thus a rather tender dialogue takes place between them, which however has no power to change the mind of the woman, now determined to leave.

The interpreters are Elisa Gandolfi and Paolo Malgioglio.

The soundtrack includes covers or instrumental versions of "Porz Goret" (Yann Tiersen) and "Skyfall" (Adele).

II. Dell’inutilità del parlare d’amore

- Antonia, ripensaci. Tu sei sola, non hai né amici né amiche. Se tu avessi almeno un’amica su cui poter contare mi preoccuperei di meno.
- Una grande amica ce l’ho: mia madre.
- Per fortuna, Antonia. Ma cos'hai? Stai barcollando e sei pallidissima: nel tuo stato non devi agitarti così. Vuoi che ti misuri la pressione?
- No grazie, sto bene.
- Siediti in poltrona, non puoi guidare in questo stato. 
- Solo una mezz'oretta però.
- Sì, certo. Mi siedo anch'io, se non ti dispiace: sono un po' scosso.
- Quando me ne sarò andata ti sentirai meglio.
- Ne dubito. Riposati, stendi le gambe: devi tenere i piedi in alto, ti metto un cuscino, così. Va meglio?
- Sì, grazie. 
- Hai voglia di parlarmi un po' di te? Ci sono tante cose che non so del tuo passato e che vorrei capire, prima che tu te ne vada.
- Non voglio parlare del mio passato.
- Non intendo il recente passato: volevo chiederti di quando eri una ragazzina, prima che ci conoscessimo. 
- Cosa vuoi sapere?
- C'è una cosa che mi sono sempre chiesto: perché non hai amiche? Tutte le ragazze ne hanno.
- Ho un carattere molto introverso, Michele. Mi hanno fatto del male, è come se si fosse alzata una barriera in qualche parte della mia anima.
- Perché non me ne hai mai parlato?
- Perché non me l’hai mai chiesto. E poi non ne parlo volentieri. Ci sono stati diversi episodi sgradevoli di cui non ho mai parlato con nessuno.
- Prova a raccontarmene uno, se te la senti. Vuoi?
- Una delle mie migliori amiche, al ginnasio, mi portò via il mio primo fidanzatino, una storia durata solo un anno ma che per me era molto importante. Avevo quindici anni. Mi confidavo con la mia compagna di banco, lei mi consolava e mi teneva su di morale; andavamo anche in vacanza assieme, in un posto molto carino della Liguria di Levante dove i suoi avevano una casa. Soffrivo, ma come può soffrire un’adolescente normale, che sa di poter contare sui suoi affetti familiari: avevo un legame molto stretto con mio padre e questo mi dava tutta la forza di cui avevo bisogno. Avevo solo diciott’anni  quando lui morì: per me fu una catastrofe. Subito dopo la morte di mio padre quella ragazza mi scrisse una lettera per informarmi che mi aveva sempre presa in giro e che si era divertita alle mie spalle con le altre compagne. Mi disse che aveva partecipato ad una scommessa: quel ragazzo aveva scommesso un panino che sarebbe riuscito a sedurmi entro un mese. Lei scommise contro di me e vinse.
- Un panino?
- Sì, un panino. 
- Ma che senso ha scrivere una cosa del genere in quelle circostanze?
- Lei disse che lo aveva fatto per chiedermi scusa e levarsi un peso dalla coscienza.
- Che stronza: nessuna persona sana di mente fa del male a qualcuno che sta soffrendo per chiedergli scusa. Era una persona orribile, la tua compagna: probabilmente moriva d’invidia e non vedeva l’ora di fartela pagare.
- Sì, penso anch'io che sia andata così.
- Probabilmente tu eri più carina di lei ma molto infantile, un bersaglio ideale per le persone cattive: ti immagino con le treccine e le calze corte. 
- Anche tu?
- Perché, chi altro ti immagina così?
- Tuo fratello.
- Buon sangue non mente.
- Comunque ero proprio così, vestita e pettinata come una bambina, con le trecce o con i capelli trattenuti dalle fasce all’uncinetto fatte da mia madre, una cosa patetica a ripensarci; e portavo anche l’apparecchio per i denti. Dovevo essere ridicola. Avrei dovuto capirlo che tutto quell’interesse da parte del ragazzo più carino della classe non poteva essere sincero.
- Perché no? A me sei piaciuta subito. 
- Non è vero, Michele: forse ti sei dimenticato che all'inizio mi hai piantata in asso dopo poche settimane.
- Non avevo ancora capito quanto tu fossi importante per me: è proprio standoti lontano che l'ho capito.
- Tu l'avrai anche capito, ma io no: non so proprio cosa tu abbia visto di speciale in me. Potevi avere metà della Torino femminile ai tuoi piedi: perché proprio me, una ragazza qualsiasi?
- Forse perché non sei una ragazza qualsiasi. Va' avanti.
- Un'altra volta, a una festa, mentre stavamo bevendo un cocktail, una mia amica mi ha detto davanti a tutti: "Perché non ti decidi a rifarti il seno? Sei piatta come un'asse da stiro." E pensare che avevo indossato un vestito nuovo e credevo di essere particolarmente carina. Ma perché ridi?
- Avevi un campionario di amiche da corte dei miracoli, Antonia. Comunque quella ragazza era una stupida, oltre che una cafona: tu sei sempre stata molto graziosa proprio perché sei poco appariscente. Le rosse, se si truccano molto e cercano di attirare l’attenzione, diventano subito volgari, mentre tu sei fine, hai un’eleganza naturale.
- Ti voglio bene, Michele.
- Ma non mi hai mai amato.
- Credevo di amarti, prima di innamorarmi.
- Di Emmanuel, ovviamente.
- Sì. Non avevo mai amato nessuno così.
- Lui ti ama?
- Non lo so. Si dicono un mucchio di idiozie sull’amore: questa è una delle pochissime cose che ho imparato da questa faccenda. Il sugo della storia, per dirla con Manzoni.
- Noi due non abbiamo mai parlato d’amore: abbiamo sempre dato per scontato che il nostro rapporto andasse bene così. È stato un errore.
- Pensavo anch’io che potesse funzionare così, che bastasse lasciarsi vivere, ma non è vero: appena abbassi la guardia il pugno ti arriva dritto in faccia. Sta' attento, Michele, te lo dico con tutto il mio affetto: prima o poi capiterà anche a te.
- Non credo: non lo dico per presunzione, ma perché mi conosco abbastanza.
- Nessuno si conosce abbastanza prima di essersi messo alla prova. Non ti auguro di vivere un’esperienza del genere, ma finché non l’avrai vissuta non giudicare quello che non conosci.
- Perché non provi a spiegarmelo? Magari capisco lo stesso.
- No, credimi: sono cose che non si capiscono prima di averle provate. Essere innamorati è una condizione patologica, perché è la malattia in sé che ti diventa indispensabile per vivere, come la droga: quanto più la malattia si aggrava, tanto più sei felice. Se provi a farne a meno entri in crisi d’astinenza e soffri terribilmente. È come ballare sull’orlo di un precipizio sotto l’effetto di una sostanza allucinogena.
- Hai ragione, forse non sono mai stato innamorato: una cosa del genere mi fa orrore solo a pensarci.
- Per fortuna, Michele: ne basta uno, di pazzo, in famiglia.
- Tu e mio fratello sareste una coppia assurda, ma forse, ragionando a mente fredda, siete fatti l'uno per l'altra. Ora ti dico una cosa che farà sembrare pazzo anche me: avrei preferito vedervi insieme piuttosto che perderti del tutto, Antonia.
- Non ce la potevo fare, Michele. 
- A fare cosa?
- Ad accettare di essere distrutta: sono scappata. 
- Perché distrutta?
- Come faccio a spiegartelo? Amare tuo fratello è come assistere all’esplosione di una Supernova: sai che ti ucciderà, ma non puoi fare a meno di rimanere a bocca aperta a guardare lo spettacolo. Sprigiona un’energia tremenda: un attimo prima di essere incenerito ringrazi di esistere, l’attimo dopo sei morto.
- Sapevo di avere un fratellino un po’ particolare, ma tu me lo stai descrivendo come una bomba atomica. Non mi stupisco che si sia innamorato di te: sei l’unica al mondo che lo vede così.
- Lo vedo così perché è così.
- Capisco. Io invece non esplodo e non disintegro, per cui non hai trovato niente di speciale in me, vero?
- Non essere ingiusto: ti ho voluto bene sul serio. Sono rimasta travolta da una cosa più grande di me, non sono riuscita a difendermi.
- E io che pensavo che la vostra fosse stata più che altro una storia di sesso. 
- Ma no, che sciocchezza: il sesso è solo una conseguenza. È impossibile amare così tanto una persona e non esserne attratti anche fisicamente. Ma Emmanuel non ha bisogno del sesso per distruggere: per mesi ha preteso che osservassimo la più assoluta castità.
- Sul serio?
- Sì, sul serio.
- E perché?
- Per dimostrare che siamo anime. Tuo fratello sa avere una forza non comune, se decide che ne valga la pena.
- Un po' come correre a piedi nudi sui chiodi arrugginiti perché tanto l’anima non prende il tetano. C’è qualcosa di medievale in tutto questo: mi ricorda i monaci flagellanti e la peste nera; mio fratello è nato nell'epoca sbagliata. Comunque ci capisco sempre di meno: se ti ama così tanto, perché lo hai lasciato?
- Michele, non so come dirtelo: non mi crederesti.
- Se è la verità ti crederò.
- Tuo fratello mi ha chiesto di sposarlo.
- Davvero?
- Davvero. Sto male solo a ripensarci.
- Questo cambia le cose, Antonia, e non di poco. Devi darmi il tempo di metabolizzare.
- Metabolizzare cosa? Era una follia.
- Antonia, perdona la mia mentalità da commercialista, ma i conti non mi tornano: dici di avere sofferto come un cane per la sua mancanza, dici che te ne vai perché non puoi sopportare di rivederlo senza stare con lui, ma hai rifiutato la sua proposta di matrimonio. Cosa c'è che mi sfugge?
- È inutile, non sei proprio in grado di capire.
- Prova a farmelo capire tu.
- È talmente evidente che mi sembra incredibile dovertelo spiegare: e mi fai anche sentire umiliata. 
- Scusami. Purtroppo è necessario.
- Tuo fratello non ci sta tutto con la testa, Michele. C'è un germe di follia in lui, di assurda esaltazione. È un visionario, un mistico, alterna momenti di sfrenato delirio dei sensi a fasi ascetiche degne di un monaco di clausura. È proprio per questo che l'ho amato con tutta me stessa, ma ho sempre avuto paura di lui.
- Non ci sta tutto con la testa, dici? Chi lo sa che cos'è la follia, Antonia: forse lui è più sano di mente di noi. Ad ogni modo la follia vi accomunava, visto che lo hai amato per questo. Di che cosa hai avuto paura? Potevate essere pazzi insieme.
- Vedo che continui a non capire.
- Cosa dovrei capire?
- Eppure è tanto semplice: io sono una donna di trentadue anni normale, per non dire mediocre, di estrazione sociale modesta; lui è un ragazzo ricco e bellissimo di diciott'anni, fuori della norma da tutti i punti di vista. Sono attratta dalla pazzia ma non sono completamente demente, Michele: mi rendevo conto di cosa sarebbe successo se avessi assecondato la sua folle proposta. Mi sarei vergognata di me stessa in ogni singolo momento della mia vita, mi sarei sentita continuamente a disagio, vecchia, brutta, insignificante, fuori luogo, fuori ruolo, così stupida e presuntuosa da non capire nemmeno che mi stavo coprendo di ridicolo. E prima o poi lui mi avrebbe buttata via come una scarpa vecchia. Già con te mi sentivo così, figurati con lui. Sarei morta di vergogna e di dolore.
- Tu non sei affatto mediocre e insignificante. Ma capisco il tuo punto di vista.
- No, tu non capisci affatto: io avrei accettato qualsiasi ruolo pur di continuare ad averlo accanto. Non puoi nemmeno immaginare come mi sono sentita quel giorno: mi ha proposto l'unico ruolo impossibile, l'unico che mi tagliava fuori da tutto. Ho capito che era finita, che l'avevo perso per sempre, che niente sarebbe stato più possibile, niente. Ho creduto di morire di dolore.
- Antonia, mio fratello è strano: di quello che pensano gli altri se ne frega. Sono sicuro che avrebbe fatto del suo meglio per mantenere il suo impegno.
- Ma perché mi tormenti, Michele? Non ha più senso parlarne adesso. E poi grazie a Dio ora non soffro più: ho il suo bambino, non ho bisogno d'altro.
- E lui?
- Lui soffrirà un po', ma poi si rifarà una vita, com'è naturale. Alla sua età si fa in fretta a dimenticare. 
- Dipende, Antonia. A volte non si dimentica affatto.
- Se Arianna è come me la descrivi, non ci metterà molto a rimetterlo in sesto.
- Io invece credo che darà parecchio filo da torcere a quella povera ragazza: non vedo come una persona equilibrata e normale possa farcela con uno come lui. 
- Il che significa che io sono squilibrata e anormale?
- Tanto normale non sei, Antonia, altrimenti non avresti accettato dei patti così assurdi: tradire me, stare con lui con o senza sesso, farti del male inutilmente, arrivare al crollo nervoso, per di più incinta di lui, per il solo gusto di perdere tutto quello che avevi conquistato, compresa la persona per cui ti sei sacrificata. Se tutto questo ti sembra normale hai qualche serio problema di masochismo.
- Non so se lei ce la farà, ma nemmeno io ce l'ho fatta: volevo vivere, nonostante tutto. 
- Normale istinto di sopravvivenza.
- Speravo che tu potessi salvarmi.
- Hai fatto male i tuoi calcoli, almeno a giudicare da come sono andate le cose.
- Lo so, ma allora non potevo saperlo.
- Comunque posso ancora aiutarti, se vuoi: non corri nessun rischio con me. Guarirai, è solo questione di tempo. Forse io non so amare nel senso stretto del termine, ma so voler bene. Il voler bene non passa, non è come l’innamoramento: è stabile e resiste alle tempeste.
- Per novemila anni, già.
- Perché proprio novemila?
- Comunque no.
- No cosa?
- Non credo di poter guarire, Michele, né adesso né mai. Anzi, non voglio affatto guarire. Lasciami andare, per favore.